A chiunque sarà capitato di incontrare persone che non riescono a provare piacere o si mostrano insensibili a situazioni un tempo considerate gratificanti.
Forse abbiamo attraversato anche noi periodi simili; e ci siamo incontrati, o scontrati, con i tanti: “Perché?”. O forse abbiamo liquidato il tutto mettendolo sotto l’ombrello della cosiddetta anedonia.
Si sa che alle persone dotte piacciono i termini dotti; sarei più curioso di ascoltare qualcosa sull’anedonia da qualcuno in grado di definire prima cos’è “il piacere”.
Diceva Sant’Agostino, riflettendo tempo: “So cos’è finchè nessuno me lo chiede”. Non avendo la grandezza del santo e non sapendo definire, spontaneamente o su richiesta, con argomenti convincenti, cos’è il piacere – pur conoscendolo – mi affido alle riflessioni di altri.
Il piacere e l’assenza di piacere: anedonia
Credo non si possa definire il termine anedonia se non ci mettiamo d’accordo prima su cosa intendiamo per “piacere”.
Da sempre il piacere è stato ritenuto centrale per la comprensione del comportamento umano, focalizzando però l’attenzione, di epoca in epoca, sugli eccessi o difetti di questo stato d’animo e sul “giusto” rapporto che ciascuno dovrebbe avere con esso, più che definire cosa è il piacere in sé.
Nel IV secolo a.c. Epicuro riteneva il piacere un “sommo bene”, origine e fine ultimo di una vita felice. Per il filosofo ateniese il vero piacere consiste nella gratificazione dei desideri naturali. Fame, sete, riparo dal caldo e dal freddo. Gli unici che possono essere completamente soddisfatti e dei quali è possibile una piena realizzazione.
Contrariamente, altre forme più complesse di piacere – vedi il lusso, la ricchezza e la fama – generano bisogni sempre nuovi e, col tempo, sensazioni di mancanza e insoddisfazione cronica determinando il turbamento dell’anima e il dolore.
Epicuro aveva capito in anticipo la legge di Weber (XIX secolo): siamo più sensibili alla variazione di uno stimolo che al perdurare di questo. Cioè la naturale capacità di adattarsi ai livelli di piacere della mente umana genera il rischio che ogni nuova stabile condizione di piacere acquisita tenda a spostare più in alto la soglia dell’effettiva esperienza edonica (accade così anche in un’area della nostra attuale società edonista?).
Le definizioni di piacere
I piaceri naturali e necessari rappresentano il processo affettivo che media l’adattamento e la stessa sopravvivenza del soggetto. Un’elogio dell’atarassia, il distacco da tutto, inclusi i piaceri, lo troviamo nella media e tarda Stoà – Crisippo, Panezio, Polibio, Cicerone, Plutarco, Epitteto, Seneca, Marco Aurelio – con la traduzione del termine greco ataraxia nel latino tranquillitas.
Il pensiero cristiano ha cercato di definire gli ambiti in cui è lecito provare piacere; la morale libertina settecentesca si è concentrata sull’illeceità del non provare piacere; e così via nelle varie epoche.
Al di là di come la si intenda, progressivamente alla sensazione di piacere (opposta a quella di anedonia) è stato riconosciuto il ruolo di associare a un comportamento la capacità a soddisfare un bisogno biologico o motivazionale portando a una ricompensa.
In questa accezione il piacere è un marcatore affettivo dei comportamenti che risponde alle necessità degli organismi, tra cui gli umani, di garantire la sopravvivenza e il benessere psicofisico.
E’ l’esperienza del piacere che induce ad apprendere questi comportamenti e a rimetterli in atto di fronte a stimoli che ne rievocano l’esperienza.
Le componenti del piacere
L’esperienza del piacere è stata scomposta in due componenti: anticipatoria e consumatoria.
Il piacere anticipatorio è legato alla rappresentazione dell’esperienza gratificante, alimentando il desiderio e sostenendo la motivazione affinché venga messa in atto l’azione organizzata necessaria al suo raggiungimento.
Il piacere consumatorio è invece quello provato nel mentre, e subito dopo, si attua la soddisfazione del desiderio: si colma una mancanza, si placa la tensione e si estingue l’azione. In ciò si distingue dal piacere anticipatorio, che genera invece tensione e movimenti tesi alla soddisfazione del desiderio.
A questi due tipi di piacere corrisponde l’attivazione di differenti sistemi cerebrali: prevalentemente quelli a dopamina nel piacere anticipatorio ed il sistema degli oppioidi endogeni nel piacere consumatorio.
Il confronto tra piacere anticipatorio e quello consumatorio – la gratificazione vissuta – è un elemento fondamentale nell’apprendimento dei comportamenti strumentali, in quanto consente la misurazione del valore effettivo di una circostanza, di una esperienza o di una relazione.
Quando si parla di anedonia
Possiamo così iniziare ad intuire il potere che deriva dal riuscire a provare piacere. Diventa una potente forza sociale ancor più che un qualcosa di circoscritto al semplice individuo. L’anedonia, compromissione nel provare piacere, è ben oltre il semplice appiattimento affettivo o l’espressione di una “vuota esistenza”.
Dall’anedonia può derivare un reale impedimento alle nostre capacità di apprendere e interagire socialmente. Comprendere i meccanismi del piacere aiuta a capire cosa accade quando questi si alterano e sfociano nell’anedonia.
Le basi biologiche
Posso provare piacere se c’è un buon funzionamento di un insieme di processi neurochimici mediati dai gangli basali cortico-ventrali. Questi includono:
- la corteccia orbitofrontale
- la corteccia anteriore cingolata
- il corpo striato ventrale
- il nucleo pallido ventrale
- le vie che partono dall’area ventrale tegmentale e attraversano il nucleo accumbens.
I gangli basali cortico-ventrali, dialogando con altre aree della corteccia cerebrale, mediano la messa in atto di comportamenti motivati e orientati verso il raggiungimento di uno scopo.
Il sistema della ricompensa è al centro di questo sistema. Costituisce l’elemento motivazionale base per le condotte tese all’ottenimento del piacere o della gratificazione: i comportamenti strumentali.
I circuiti neurali motori presiedono alla organizzazione e alla espressione della componente motoria del comportamento associato alla ricompensa; i circuiti corticali prefrontali, connessi ai gangli della base, codificano il valore della ricompensa; valutano il rapporto tra costo e benefici dell’azione e l’eventuale opportunità sociale o morale della condotta.
Le regioni corticali, in base a precedenti memorie ed esperienze, valutano le strategie che ottimizzano il valore della ricompensa rispetto all’investimento motivazionale – di energia fisica e psicologica – necessario a ottenerla e in questo modo regolano i processi decisionali nei comportamenti associati alle ricompense.
Le ricerche sperimentali hanno rilevato che bassi livelli di attivazione della corteccia prefrontale mediale si associano all’anedonia. Le ragioni di questa disfunzione sono diverse e spaziano dalla genetica ai fattori ambientali quali lo stress cronico, i traumi emotivi, l’abuso di sostanze.
Si tratta di una malattia?
Situazioni ambientali possono, col tempo, determinare lesioni funzionali e/o microstrutturali in queste aree corticali, menomando la capacità del cervello di mediare le ricompense. Detto ciò: si può considerare l’anedonia una malattia?
Proviamo a vedere come si è sviluppato il concetto in psicopatologia. Nel 1897 Ribot impiegò il termine per descrivere una “insensibilità patologica al piacere”, riferendosi a soggetti incapaci di provare piacere in attività sessuali, alimentari, relazionali ed affettive.
Nel 1911 Bleuler considerò l’anedonia come una caratteristica del disturbo schizofrenico. Kraepelin, nel 1913, parlò dell’anedonia come sintomo della “dementia precox” in cui i pazienti risultano avere “un’ indifferenza verso le relazioni umane con perdita di soddisfazione nelle attività di norma ritenute piacevoli e ricreative.
Negli anni a seguire l’anedonia fu collegata ai disturbi dell’umore, tanto che il DSM-IV, nel 1994, la considera sintomo della depressione maggiore, intesa sia come perdita di reattività agli stimoli piacevoli che come diminuzione degli interessi o appiattimento affettivo.
Le difficoltà di classificazione
Le ambiguità sul tema permangono. Infatti: possiamo considerare l’anedonia come l’incapacità a desiderare un contatto con stimoli gratificanti; oppure l’incapacità nel provare piacere una volta entrati in contatto con essi; per alcuni si intende una condizione o uno stato psicopatologico “discreto”, per altri è un tratto di personalità.
C’è chi considera rilevante l’elemento temporale, distinguendo uno stato di anedonia cronico – sintomo psicopatologico – da stati transitori; ad esempio legati a momentanee fasi della vita o di salute (ho ben presenti i miei momenti di anedonia durante una banale influenza stagionale).
Come in tutte le condizioni psichiatriche è opportuno valutare sempre per gradi la gravità del sintomo partendo da livelli “fisiologici” e transitori fino ai quadri a cronici e invalidanti.
Anedonia e disedonia
Trovo interessante la proposta di alcuni studiosi di sostituire il termine “anedonia”, che richiama sul piano semantico la sola “assenza di piacere”, con il termine di “disedonia”. Questo includerebbe le possibili variazioni qualitative e quantitative delle abilità di gratificazione del soggetto.
Infatti, possono essere distinte clinicamente e neuro-biologicamente, modificazioni qualitative e quantitative della funzione edonica. Questa può essere compromessa in diverse componenti:
- appetitiva (il desiderio)
- motivazionale (l’attivazione, l’eccitazione e l’approccio)
- consumatoria (piacere e soddisfazione una volta raggiunto l’obiettivo)
- o in tutte queste
Il termine anedonia deve essere inteso come un sintomo, non una condizione primaria. La troviamo in molte condizioni mediche (come medico penso penso in primis all’ipotiroidismo o all’esordio di quadri neurodegenerativi) e psichiatriche. Ad esempio la depressione, la psicosi, alcuni disturbi della personalità, il disturbo da stress post-traumatico (PTSD), i disturbi da uso di sostanze e altro ancora.
Per questa ragione, l’anedonia è solitamente trattata in rapporto al disturbo di base diagnosticato piuttosto che come una malattia a sé stante.
Troverei molto interessante riflettere sul fenomeno “anedonia” dalla prospettiva del nostro periodo storico. Può esistere un’anedonia legata al tipo di società e allo schema di valori a cui siamo obbligati a sottometterci?
Purtroppo ho già abusato dello spazio concessomi e della vostra pazienza. Potrebbe essere uno spunto per un prossimo articolo.