Generalmente si tende ad associare il gioco al periodo dell’infanzia o dell’adolescenza. E così succede anche per la psicoterapia, come se il gioco avesse valore solo nel contesto evolutivo.
Ovviamente questo è vero: il gioco per i bambini, anche se in un contesto di cura, è fondamentale per la crescita, lo sviluppo o l’elaborazione di esperienze traumatiche o dolorose, ma non è l’unica fascia d’età in cui tale esperienza terapeutica diventa preziosa.
Infatti, nonostante la sua importanza, vi sono ancora troppo pochi approcci terapeutici, che prendono in considerazione il gioco nel lavoro con l’adulto. Uno di questi è la Schema Therapy (Young et al., 2003).
La Schema Therapy
La Schema Therapy è una terapia sviluppata da Young all’inizio degli anni 90’. Consiste in un approccio terapeutico articolato, che integra e amplia la teoria cognitivo comportamentale, prendendo spunto da diversi modelli teorici quali: la teoria dell’attaccamento e relazioni oggettuali, costruttivismo, gestalt e vari approcci psicoanalitici.
Il concetto base su cui si fonda la Schema Therapy è il fatto che tutti nasciamo con dei bisogni emotivi primari, la cui frustrazione porta alla strutturazione schemi maladattivi precoci.
Questi ultimi sono circuiti neuronali presenti nella nostra amigdala, costituiti da ricordi, emozioni, comportamenti e aspetti corporei, che l’individuo usa per “leggere” se stesso e il rapporto con gli altri e comportarsi di conseguenza.
I Mode
Questi schemi si esprimono attraverso i Mode, ossia parti della personalità del soggetto, che sono l’espressione di stato dell’attivazione di uno o più schemi contemporaneamente.
Per esemplificare uno stesso schema può attivare diversi Mode in quanto non corrispondono in modo ordinato: lo schema Standard Elevati può esprimersi attraverso una parte esigente, il senso di inadeguatezza di una parte vulnerabile o la messa in atto di comportamenti perfezionistici di un Mode di coping.
I bisogni che possono essere frustrati sono: attaccamento sicuro (connessione, sicurezza, fiducia), autonomia, senso di competenza e identità, libertà nell’espressione di emozioni e scopi, limiti realistici e autocontrollo, spontaneità e gioco.
Gli stadi del gioco nell’infanzia
Come sappiamo dalla psicologia dello sviluppo, il gioco si modifica a seconda delle diverse fasi di sviluppo, anche se vi è molta variabilità rispetto all’età d’insorgenza:
- Dagli 0 ai 2 anni il gioco non occupato permette di prepararsi al gioco futuro.
- Intorno ai 2-3 anni il bambino impara a divertirsi grazie al gioco solitario, compatibilmente con le ancora limitate capacità cognitive, motorie ed emotive.
- Verso i 2-4 anni il gioco si esprime in comportamenti finalistici, senza azione.
- Tra i 2 e mezzo e i 4 anni possiamo osservare bambini che giocano parallelamente, aspetto che gli permette di prepararsi alla maturazione delle abilità sociali.
- Dai 3-4 anni in poi il gioco con i pari diventa associativo, ed è propedeutico allo sviluppo di tutte quelle abilità fondamentali per la socialità (cooperazione, linguaggio ecc.)
- I 4-6 anni sono lo stadio del gioco cooperativo che è l’esito delle esperienze ludiche precedenti e base per l’acquisizione delle competenze sociali.
È quindi facile intuire come una deprivazione in quest’area porti a lacune e ferite aperte nell’individuo in età adulta.
Com’è l’ambiente familiare che frustra questo bisogno
Numerosi possono essere le tipologie di contesto familiare che portano alla frustrazione del bisogno innato di gioco e spontaneità:
- genitori dediti al lavoro, con standard elevati, in cui il dovere viene prima di tutto;
- ambiente neglettante (i bambini sono trascurati, lasciati a loro stessi, sia emotivamente che praticamente);
- genitori critici, soprattutto riguardo al gioco, solitamente considerato come superficiale e futile;
- in generale un contesto di sviluppo povero emotivamente, dove la condivisione gioiosa per la spontaneità del bambino non è presente.
Conseguenze della deprivazione di gioco
Una persona a cui non è stato permesso di giocare durante la propria infanzia sarà probabilmente meno felice o giocherellona. Sarà maggiormente portata al dovere, in modo rigido e poco flessibile. Concedersi hobby o attività ricreative viene identificato come una perdita di tempo inutile.
Alcuni pazienti riportano proprio la mancanza di idee su come divertirsi, svagarsi o rilassarsi. Questo perché, non essendo mai stato permesso loro di esplorare ciò che gli piace e li diverte, hanno disimparato ad ascoltarsi.
L’uso del gioco in Schema Therapy
Date tali premesse, soddisfare il bisogno di gioco e spontaneità, per i pazienti che ne hanno avuto frustrazione, diventa fondamentale nel percorso terapeutico.
D’altra parte non tutti i pazienti ne hanno bisogno. Tale necessità diventa obiettivo terapeutico condiviso solo a seguito di un’accurata valutazione del caso e del funzionamento del paziente.
Introdurre il gioco in psicoterapia deve essere anticipato da una psicoeducazione rispetto all’importanza della soddisfazione di tale bisogno. In questo modo il paziente (ognuno con le sue tempistiche) avanzerà il primo passo verso questa direzione, anche quando “giocare” attiva gli schemi maladattivi precoci o i Mode critici (Genitore Critico o Esigente) o di coping (ad esempio il Protettore distaccato).
Infatti molti pazienti, quando si avvicinano al gioco, possono sentire le voci critiche interiorizzate che si esprimono con sentenze simili: “anche se è solo un gioco fallirai, non sei capace!”, “ti prenderanno tutti in giro”, “stai perdendo tempo con questa terapia” ecc..
É quindi fondamentale spiegare al paziente che il gioco è un bisogno innato (come l’attaccamento, l’accudimento, l’apprezzamento), e che è fondamentale per lo sviluppo delle propria parte sana.
Bisogni soddisfatti dal gioco
Quando giochiamo con il paziente in seduta, non soddisfiamo solo il bisogno di spontaneità e libertà, ma anche altri tipi di bisogni.
Ad esempio, quando giochiamo e il paziente si sente connesso, visto, sente calore, autenticità e reciprocità nella relazione terapeutica, viene soddisfatto il bisogno di attaccamento.
Inoltre, anche i bisogni di apprezzamento condizionato (ottenere lode per qualche cosa) o incondizionato (andare bene per quello che si è) sono soddisfatti tramite il gioco. Ciò in quanto il paziente sente di essere in grado, ma anche di poter fallire e di essere apprezzato per la sua modalità di essere spontaneo.
Questo permette di amplificare le emozioni positive e di entrare in contatto con il Mode bambino Felice, fondamentale per sentirsi amati, degni, nutriti, sicuri di sé.
In questo modo il paziente avrà più probabilità di evocare immagini ed emozioni positive, soprattutto nei momenti difficili, aspetto che gli permetterà di avere uno strumento in più volto ad ottenere un bilanciamento emotivo durante la situazione dolorosa.
Infine, il gioco aiuta ad entrare più facilmente in contatto con gli aspetti di vulnerabilità quando sono presenti Mode di coping evitanti.
Anche la relazione terapeutica giova molto di queste strategie, in quando si entra in connessione emotiva con il paziente attraverso un’azione che sente come sicura.
Tipologie di gioco in seduta
Il gioco in seduta si può declinare in varie forme: libero e aperto o più strutturato, in base alle predisposizioni del paziente.
Può essere svolto con strumenti presenti in studio come i Lego, le bambole, le costruzioni oppure in immaginazione.
Un piccolo esempio del primo caso può essere l’uso dei palloncini per esprimere le emozioni a inizio seduta. Si chiede al paziente di disegnare l’espressione del proprio stato emotivo sul palloncino per poi farlo scoppiare.
Questo permette in modo sicuro e divertente di riconoscere l’emozione, il perché la si sta provando e come si può lavorare al fine di prendersi cura del bisogno frustrato sottostante.
Nel secondo caso in immaginazione è possibile sbizzarrirsi, sempre tenendo però conto del funzionamento del paziente. Il gioco può essere introdotto alla fine di un esercizio di immaginazione sulle memorie episodiche del passato, dove il terapeuta può giocare con il bambino in base alla sua necessità. Oppure andare in immaginazione in un parco divertimenti e giocare con entusiasmo
Per ipersemplificare, la domanda chiave è: «cosa farebbe un bravo genitore per far divertire il suo amato figlio?».
Bibliografia
- Heath, G, Startup, H. (2022). Metodi creativi nella schema therapy. Progressi e innovazione nella pratica clinica. Ed. italiana a cura di Luppino, O., I. Giovanni Fioriti Editore.
- Young, J., E., Klosko, J. S.,Weishaar, M. E. (2003). Schema Therapy: a pratictioner’s guide. Guilford Press, New York.