Il termine “mindfulness” può essere utilizzato in diverse accezioni di significato: da un lato lo si può intendere come uno stato mentale che emerge a seguito di una pratica sistematica di meditazione; dall’altro lo si può considerare una variabile di tratto, una abilità umana di base o tendenza personale ad essere ed agire nella vita di tutti i giorni con maggiore consapevolezza e predisposizione a focalizzare l’attenzione nel momento presente e ad osservare il flusso di pensieri, emozioni e sensazioni, mantenendo un atteggiamento di non giudizio e accettazione.
Sono state trovate diverse associazioni tra mindfulness e miglior funzionamento su diverse variabili (tra cui maggiori qualità e soddisfazione di vita, autostima, salute e benessere percepiti, capacità di concentrazione, soddisfazione di coppia, empatia). La regolazione delle emozioni è stata proposta come meccanismo che potrebbe almeno in parte influenzare e spiegare gli effetti della mindfulness sulla salute.
Col termine regolazione emotiva facciamo riferimento ai processi, più o meno automatici o controllati, attraverso i quali moduliamo le emozioni che sperimentiamo, nel momento in cui le sperimentiamo, influenzandone la nostra esperienza soggettiva, la tendenza all’azione e il livello di attivazione fisiologica che ne derivano: tale capacità ci viene richiesta costantemente dall’interazione con l’ambiente e influenza il verificarsi, l’intensità, la durata e l’espressione delle nostre emozioni.
La regolazione delle emozioni comprende diverse strategie di fronteggiamento, tra cui il controllo dello stimolo, la rivalutazione cognitiva, il problem-solving, l’accettazione, il rilassamento, la soppressione delle emozioni, la distrazione.
L’efficacia di queste strategie varia a seconda delle preferenze individuali e della situazione specifica: in generale possiamo considerare adattive le strategie che, consentendo di riconoscere e comprendere il significato delle proprie esperienze emotive, usarne il valore informativo e gestirne l’esperienza e l’espressione in maniera adeguata, promuovono un buon funzionamento a breve e a lungo termine.
Analogamente alla mindfulness, le strategie di regolazione emotiva funzionali fornirebbero un migliore adattamento all’ambiente attraverso una maggiore consapevolezza e flessibilità cognitiva e comportamentale, promuovendo una minore urgenza e tendenza ad agire a seguito di un’emozione, riducendo così la tendenza a rispondere in maniera abituale, automatica, impulsiva o maladattiva e consentendo di orientare il proprio comportamento verso una direzione che sia maggiormente coerente con le richieste ambientali e gli scopi personali.
Al contrario, i deficit di regolazione emotiva possono ridurre il benessere percepito ed essere implicati in diverse difficoltà psicologiche e relazionali. Benché, come già sottolineato, sia talvolta difficile definire a priori se un tipo di strategia di regolazione emozionale sia di per sé più o meno adattiva rispetto ad un’altra, si sono spesso confrontati gli effetti dell’utilizzo di strategie specifiche: la rivalutazione cognitiva è in genere associata ad un miglior funzionamento psicologico; la soppressione invece ad un peggior funzionamento.
Nell’ambito di diversi disturbi psicologici frequente risulta essere l’utilizzo di strategie come la ruminazione e l’evitamento, minore quello della rivalutazione cognitiva e dell’accettazione. La maggior parte degli studi prende in considerazione campioni con persone in età adulta: meno numerosi sono quelli che si occupano di età adolescenziale, soprattutto per quanto riguarda i meccanismi che potrebbero sottostare l’influenza della predisposizione alla mindfulness sulla psicopatologia in questa fase di vita. L’adolescenza è un periodo che richiede di adattarsi a importanti cambiamenti fisici, biologici, psicologici e sociali.
Si riscontra un aumento della prevalenza di alcuni disturbi psicologici, con ripercussioni sul funzionamento scolastico, sociale e relazionale, e questo risulterebbe anche essere predittore di un peggior funzionamento in età adulta: si possono riscontrare comportamenti a rischio (tra cui uso di sostanze e comportamenti sessuali e di guida pericolosi), oltre che conseguenze sul percorso scolastico, che a sua volta possono avere ripercussioni su autostima e fiducia nelle proprie capacità di fronteggiare certi compiti, prove e difficoltà anche in futuro in altri ambiti.
Alla luce di ciò diventa importante indagare i fattori che potrebbero influenzare il rischio e il mantenimento di psicopatologia in adolescenza. Per quanto riguarda gli adulti, una maggiore predisposizione alla mindfulness sembrerebbe essere associata a minori livelli di psicopatologia, oltre che influenzare la regolazione emotiva, con minore utilizzo di strategie come l’evitamento e la ruminazione; a sua volta, la regolazione emozionale sembrerebbe almeno in parte mediare l’associazione tra predisposizione alla mindfulness e difficoltà psicologiche.
Anche in adolescenza la mindfulness si è rilevata essere una risorsa in grado di influenzare qualità di vita, livello di psicopatologia e capacità di fronteggiare gli eventi stressanti. La capacità di regolare le proprie emozioni in adolescenza sembra per di più essere di per sé un predittore di psicopatologia nel tempo.
Sulla base di queste e altre evidenze in un recente articolo (Adolescence Mindfulness and Psychopatology: the Role of Emotion Regulation), gli autori hanno indagato i meccanismi che potrebbero sottostare alla relazione tra mindfulness, intesa nell’accezione di differenza individuale, e psicopatologia in un campione di adolescenti dai 12 ai 18 anni.
L’ipotesi era che gli adolescenti con minore predisposizione alla mindfulness avrebbero mostrato ridotte capacità di regolazione emotiva, nei termini di un basso utilizzo della rivalutazione cognitiva (intesa come strategia che include l’esame dei pensieri relativi ad una determinata situazione e la produzione di interpretazioni o prospettive differenti, modificandone l’impatto emotivo) e un alto ricorso alla soppressione (intesa come strategia di evitamento mediante la quale si tentano di inibire gli indicatori esterni degli stati emotivi) e che questa capacità di regolazione delle emozioni avrebbe mediato l’associazione tra livelli di predisposizione alla mindfulness e livelli di psicopatologia rilevati (depressione, ansia, stress, sintomi esternalizzanti e sintomi internalizzanti).
Tra i vari dati emersi, i risultati hanno riscontrato che una più bassa disposizione alla mindfulness era associata a più alti livelli di psicopatologia. La rivalutazione cognitiva e la soppressione erano associate entrambe con gli indicatori di psicopatologia nella direzione attesa, fatta eccezione per l’associazione tra soppressione e sintomi esternalizzanti.
La soppressione è risultata spiegare in larga parte l’associazione tra bassa predisposizione alla mindfulness e psicopatologia per quanto riguarda depressione, stress e soprattutto ansia, ma non per le più generali problematiche internalizzanti ed esternalizzanti: questo, come indicato dagli autori stessi, suggerisce l’utilità di prendere in considerazione altri fattori di mediazione.
In conclusione la predisposizione alla mindfulness sembra essere un importante fattore protettivo durante l’adolescenza, con la capacità di regolazione emotiva che può essere implicata tra i meccanismi che sottostanno ai suoi effetti benefici sulla salute: gli adolescenti con meno predisposizione alla mindfulness avrebbero infatti più probabilità di mettere in pratica tentativi per sopprimere le esperienze emotive, meccanismo a sua volta associato a maggiori livelli di psicopatologia: lo sforzo di evitare o controllare le emozioni negative può infatti avere l’effetto paradossale di incrementarle, e tale meccanismo è implicato nel mantenimento di diversi disturbi, tra cui ansia e depressione.
I risultati emersi suggeriscono l’importanza di utilizzare anche in adolescenza interventi specifici per la valutazione delle strategie di regolazione emozionale adottate, promuovendo l’utilizzo di strategie funzionali. In aggiunta, e soprattutto per quelli adolescenti che presentino i sintomi considerati dal presente studio, si rileva l’utilità di interventi clinici specifici che possano incrementare la predisposizione alla mindfulness, sia in quanto in grado di influenzare le abilità di regolazione emotiva e quindi avere effetti indiretti sulla psicopatologia, sia per i suoi effetti diretti sulla medesima.