I ricercatori della Medical University of South Carolina Center for Biomedical Imaging in Charleston hanno recentemente osservato che giovani pazienti con deficit di attenzione e iperattività (ADHD), che non avevano mai ricevuto un trattamento farmacologico specifico per il disturbo, avevano a livello cerebrale livelli di ferro inferiori se confrontati con casi analoghi che avevano invece ricevuto un trattamento con psicostimolanti.
Lo studio ha coinvolto 22 soggetti affetti da ADHD (in una fascia d’età compresa tra gli otto e i diciotto anni) – 12 dei quali non avevano mai ricevuto alcun trattamento con stimolanti mentre i rimanenti 10 erano stati trattati con questa classe di farmaci.
Il gruppo dei 22 soggetti con ADHD è stato confrontato con un gruppo di controllo costituito da 27 soggetti sani. I tre gruppi studiati non differivano per età, sesso, quoziente intellettivo e gruppo etnico di appartenenza.
I casi che avevano ricevuto un trattamento specifico con psicostimolanti presentavano livelli di ferro cerebrale simile a quello rilevato nei soggetti sani di controllo, facendo ipotizzare che i livelli di ferro intracerebrale potrebbero raggiungere i valori normali proprio ad opera del trattamento con psicostimolanti.
Nei soggetti non trattati con psicostimolanti i livelli bassi di ferro sono stati rilevati in prevalenza a livello dello Striato e del Talamo.
Non sono state osservate tra i gruppi differenze dei livelli di ferro nel sangue e ciò potrebbe fare ipotizzare che nell’ADHD ci potrebbe essere esclusivamente a livello cerebrale un assorbimento anomalo del ferro.
E’ importante evidenziare tale osservazione perchè ciò significa che non è di alcuna utilità un aumento nella somministrazione del ferro, per bocca o per via parenterale, anzi potrebbe essere tossico ad alti dosaggi.
Attualmente la diagnosi di ADHD si basa su valutazioni comportamentali e interviste semistrutturate con i genitori e con il bambino.
Qualora l’evidenza di una significativa riduzione dei livelli di ferro intracerebrale dovesse essere confermata in studi su campioni più ampi, si potrebbe impiegare tale dato come biomarker fisiologico per l’ADHD, in particolare in quei casi al limite, con diagnosi dubbia, e potrebbe anche essere impiegato per monitorare l’efficacia del trattamento farmacologico.