Tra le terapie cognitivo comportamentali di terza generazione l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT) è oggetto di sempre più numerosi approfondimenti e studi che riguardano l’applicazione di questo paradigma alle varie problematiche che i pazienti riportano.
Uno dei campi dove l’ACT può essere applicata è quello dei disturbi alimentari.
Il modello cognitivo-comportamentale più influente per il trattamento di anoressia e bulimia nervosa è quello di Fairburn e Harrison del 2003, che pone il focus della terapia sul controllo del corpo e del peso e sulla loro ipervalutazione e, come recentemente confermato, sull’intolleranza alle emozioni che genera comportamenti di evitamento.
L’ACT fonda uno dei suoi cardini sulla concezione che l’intolleranza alle emozioni sia la fonte principale di sofferenza psicologica, contrapponendo al mito occidentale della “sana normalità”, in base al quale la felicità è intesa come assenza di dolore, una concezione di normalità che comprende la presenza di sofferenza come esperienza comune.
In una recente review Manlick, Cochran e Koon hanno voluto mettere insieme le ultime ricerche su ACT e disturbi alimentari per mettere a fuoco quanto e come questo approccio teorico possa considerarsi un valido aiuto per tali problematiche.
Come sappiamo l’obbiettivo dell’ACT è quello di aumentare la flessibilità psicologica tramite l’applicazione dei sei processi fondamentali: defusione, accettazione, contatto con il momento presente, valori, azione impegnata e se come contesto.
Gli autori hanno analizzato i sei processi, mettendoli in relazione con le componenti di anoressia e bulimia e le ricerche al riguardo. Per quanto riguarda la defusione sappiamo che con l’ACT si impara ad osservare i propri pensieri (defusione) e a non essere i propri pensieri (fusione).
Sappiamo anche che le pazienti con disturbo alimentare tendono ad essere fuse con i pensieri e le credenze riguardo al peso e alla forma del corpo, che generano emozioni negative quali vergogna, ansia e tristezza.
Imparare a “defondersi” da questi pensieri considerandoli parte della propria esperienza può aiutare a non identificarsi con essi e a non reagirvi con comportamenti disfunzionali.
Dalla fusione con i processi verbali del pensiero scaturiscono una serie di processi come l’ipercontrollo, la soppressione o l’evitamento di esperienze interne spiacevoli che nell’ACT vengono concettualizzate come evitamenti esperienziali, impedendo l’accettazione delle proprie esperienze interne.
Nelle pazienti con disturbi alimentari l’evitamento emotivo ed esperienziale risulta essere associato con la gravità del disturbo, e alcune ricerche dimostrano come favorire il processo di accettazione faciliti la riduzione dei comportamenti binge-purging e abbassi l’insoddisfazione nei confronti del proprio corpo.
La consapevolezza del momento presente è un altro dei cardini dell’ACT, che aiuta a comprendere la pienezza dell’esperienza momento per momento, grazie anche alle tecniche mindfulness, facilitando la flessibilità psicologica ed il contatto con i propri valori.
Uno dei processi cognitivi che accompagna i disturbi alimentari è proprio quello di focalizzarsi su aspetti limitati dell’esperienza presente (“Mi vedo le gambe grosse”), perdendo di vista altre componenti del momento e mantenendo la fusione con quell’unica prospettiva.
Il sé come contesto fa parte della consapevolezza piena del momento presente, permettendo alle pazienti di non identificarsi con le proprie descrizioni di sé ma promuovendo il contatto con un senso di sé coerente e persistente che osserva e accetta il fluire dell’esperienza.
Infine i valori e l’azione impegnata rappresentano la strada per una vita significativa, sostituendo scopi patogeni e contingenti e permettendo una visione a lungo termine, ma messa in pratica quotidianamente, di un benessere non inteso come assenza di patologia, bensì come una direzione valoriale verso la quale viaggiare.
Questo, in alcune ricerche, è stato evidenziato come una parte importante nel mantenimento dei risultati della terapia nei disturbi alimentari e come utile strumento per la prevenzione delle ricadute.
In uno studio di Juarascio e colleghi del 2010 sono stati messi a confronto il modello ACT e il modello di terapia cognitivo comportamentale standard confrontando due gruppi di soggetti in trattamento per disturbi alimentari.
Le pazienti trattate con il modello ACT hanno riportato una maggiore riduzione di sintomi, tuttavia occorrono ulteriori ricerche per perfezionare la concettualizzazione dei sintomi di anoressia e bulimia nella prospettiva ACT, per determinare la reale efficacia di questo approccio.
Fairburn, C. G., & Harrison, P. J. (2003). Eating disorders. The Lancet, 361, 407–416.
Juarascio, A. S., Forman, E. M., & Herbert, J. D. (2010). Acceptance and commitment therapy versus cognitive therapy for the treatment of comorbid eating pathology. Behavior Modification, 34, 175–190.
Manlick, C. F., Cochran, S. V., & Koon, J. (2013). Acceptance and Commitment Therapy for Eating Disorders: Rationale and Literature Review. Journal of Contemporary Psycotherapy, 43, 115-122.