Milioni di persone in tutto il mondo sono accorse nei cinema per vedere quello che sembra il film Pixar più visto di sempre: stiamo parlando di Inside Out 2.
Ma come mai stiamo assistendo a questo fenomeno che sembra ormai virale, di cui tutti parlano?
Semplicemente perché, come è già successo per il primo film della saga, chiunque lo guardi si riconosce perfettamente nelle vicende della protagonista, Riley Anderson.
In altre parole, perché Inside Out parla di ognuno di noi.
Il fenomeno Inside Out: partiamo dalle origini
Il primo film ci ha introdotto alle nostre emozioni, ci ha presentato quelle che esistono e “dominano” la nostra mente fin dalla nascita. Si tratta di quelle che alcuni modelli teorici descrivono come le 5 emozioni di base, ovvero Gioia, Tristezza, Rabbia, Disgusto e Paura.
A seconda di quale emozione prende il comando nella nostra mente (nel “quartier generale” come viene rappresentato nel film) noi agiamo e ci comportiamo in un modo differente.
Se è Paura che gestisce la console ci muoveremo per evitare i pericoli, se è Gioia invece ci lasceremo andare ai più sfrenati divertimenti, se è Rabbia reagiremo con forza non appena percepiamo un ingiustizia nei nostri confronti.
Inside Out: il ruolo di Tristezza e l’accettazione delle emozioni
Il messaggio clinico alla base di Inside Out è ormai noto: tutte le emozioni hanno importanza, tutte le emozioni sono fondamentali per la vita degli esseri umani.
Una delle sottotrame più importanti del cartone riguarda infatti la scoperta della funzione di Tristezza.
Gioia, che è l’emozione capo del quartier generale di Riley, cerca invano dalla nascita di capire quale è lo scopo di Tristezza, di capire a “cosa serve” nella vita della bambina.
Paura tiene lontano Riley dai pericoli, Rabbia fa in modo che venga ascoltata e rispettata nei suoi bisogni, Disgusto la protegge affinché non venga avvelenata sia socialmente che fisicamente. Gioia si identifica come l’emozione che permette a Riley di essere felice, mentre Tristezza sembra sprovvista di una sua funzione specifica.
Durante lo svolgimento della narrazione, con non pochi tentativi da parte di Gioia di arginarla sempre in uno spazio più piccolo della mente di Riley, viene piano piano svelato anche il suo ruolo.
Tristezza, così come tutte le altre emozioni, protegge la bambina. E da che cosa nello specifico? Dalla solitudine e dalla disconnessione emotiva.
La funzione dell’accudimento
Come può la Tristezza prottere della solitudine? Attraverso l’attaccamento. Ogni volta che Tristezza prende il comando del quartier generale, chiunque intorno a Riley le voglia bene, siano i genitori o le amiche e le compagne di squadra, accorre in suo sostegno. Le dimostra quanto ci tiene a lei e allevia così i dolori del momento, rendendoli più sopportabili.
La nostra vulnerabilità, la nostra tristezza, se espressa, è in grado di attrarre a noi coloro che tengono a noi. Senza Tristezza, senza vulnerabilità, nessuno conosce i nostri dolori e la nostra sofferenza. E’ quindi molto più difficile venire confortati e essere aiutati in modo compassionevole nei nostri momenti difficili.
Oltre ad altri mille spunti di riflessione, Inside Out ci offre quindi l’importante consapevolezza che le nostre emozioni, anche quelle che nell’immediato non ci piacciono, hanno un loro ruolo specifico e occorre accettarle e integrarle nella nostra vita quotidiana.
Lottare contro le nostre emozioni, confinarle in spazi della mente irraggiungibili non ci porta alcun beneficio, anzi, ci impedisce di funzionare bene nella nostra vita quotidiana.
Accettazione delle emozioni e psicoterapia
Da un punto di vista clinico questa rappresentazione è in linea con i più recenti sviluppi del panorama scientifico internazionale.
Se fino a qualche tempo fa molti modelli teorici sostenevano l’importanza di “cambiare”, “ristrutturare” i nostri pensieri e promuovere quindi l’allontanamento di certe emozioni dalla nostra vita, nell’ultimo decennio (forse anche di più) si è assistito ad uno spostamento del razionale degli interventi terapeutici verso l’accettazione delle nostre emozioni e l’integrazione funzionale di ogni parte di noi.
Alcuni modelli teorici come l’Acceptance and Commitment Therapy, la Compassion Focused Therapy o la Ego State Therapy sono solo alcuni esempi del risultato di questo fondamentale cambiamento di rotta.
Inside Out 2: l’arrivo di emozioni più complesse
Tristezza è stata l’emozione più discussa durante il primo capolavoro Pixar. Con la crescita della bambina che all’epoca del primo cartone si accingeva a compiere i 10 anni e adesso è ormai adolescente a tutti gli effetti, vediamo l’arrivo al quartier generale della mente di Riley di nuove emozioni. Si tratta di Imbarazzo, Invidia, Noia (nel film denominata Ennui) e di Ansia.
Dai primi fotogrammi è già evidente come, sebbene anche le altre nuove emozioni giochino un ruolo specifico nello sviluppo della trama, la nuova temibile protagonista di questo nuovo film sia Ansia.
Ansia viene presentata non come una patologia, come molti spesso erroneamente ipotizzano e credono, ma come un’emozione. Un’emozione complessa, più adulta rispetto alle altre già presenti nella mente della bambina, ma in ogni modo come un’emozione che arriva nella sua mente per guidarla nella sua vita quotidiana.
Come era accaduto però nel film precedente, Gioia in primis ma in seguito anche tutte le altre emozioni iniziano ad accorgersi che quando il quartier generale è sotto il controllo di Ansia, non sempre le cose vanno come devono andare. Vediamo insieme come l’ingresso nella nostra mente di Ansia provoca dei cambiamenti.
Ansia: la sua funzione e le modalità di controllo della nostra mente
Rispetto a Tristezza, che apparentemente sembrava rovinare la vita di Riley, semplicemente “esistendo”, Ansia è fin da subito un’emozione più attiva e decisionale.
Non appena si stabilisce al quartier generale ha un atteggiamento dominante, prende il controllo della console e a differenza delle altre emozioni sembra non “dormire mai”. Ma qual è il suo ruolo? Cosa cerca di fare?
Di per sé, Ansia si presenta come un esserino un po’ scombinato e bizzarro che asserisce di voler proteggere a tutti i costi la protagonista. Ma da cosa? Non da minacce del presente, ma da minacce che potrebbero presentarsi nel futuro!
Ansia ha la funzione di impedire che nella vita di Riley si abbattano tutta una serie di conseguenze catastrofiche che potrebbero ostacolarle la vita.
Le altre emozioni, più semplici e reattive al presente sono infatti spiazzate dal modo di “lavorare” della nuova emozione: Ansia cambia e condiziona i comportamenti di Riley nel presente in modo previsionale in base a idee e modelli che riguardano il futuro. Per adeguarla agli standard derivati dalla sua idea di valore e di normative ed evitare che vada incontro a fallimenti, siano essi sociali che sportivi/prestazionali.
Dissociare e reprimere le altre emozioni
Ansia allontana tutte le emozioni: le confina nell’inconscio, in quella parte della mente di cui non siamo consapevoli.
Le emozioni rischiano di diventare “emozioni represse”, per usare il linguaggio del film.
Nella vita reale questo ci aiuta a dare un senso a quando ci capita di perdere la possibilità di provare alcuni tipi di emozioni. Questo può accadere anche quotidianamente, come risultato di strategie di difesa che appunto ci distaccano e inibiscono dalle emozioni troppo intense che potremmo provare.
Quante volte capita che a causa dell’ansia ci sembra impossibile provare gioia per qualcosa che aspettavamo o anche di arrabbiarci in situazioni che normalmente ci avrebbe fatto arrabbiare?
La dissociazione, la repressione di emozioni funzionali può diventare una condizione estremamente svantaggiosa e problematica e merita una specifica attenzione clinica se derivata invece da eventi traumatici o se manifestata troppo rigidamente come strategia di vita quotidiana.
Ipercontrollo e rimuginio Catastrofico
Ansia sembra aver colonizzato all’insaputa di tutti degli spazi vuoti, in “disuso” della mente di Riley e averle riempite di suoi seguaci. Questi, attraverso computer all’avanguardia, hanno il compito di iper-controllare ogni cosa nella vita della ragazza. Di monitorare ogni dettaglio dei fatti già accaduti e produrre milioni di scenari possibili attraverso algoritmi di ogni tipo.
Questa rappresentazione è molto efficace e ci aiuta a comprendere, soprattutto attualmente, quanto sia facile avere pensieri intrusivi e ripetitivi che riguardano cose a cui non vorremmo pensare, ma che in qualche modo arrivano al nostro “quartier generale” e ci allertano e ci tengono impegnate nella loro analisi giorno e notte.
L’Ansia non se ne vuole andare: più ci proviamo più lei reagisce
Viene inoltre mostrato come di per sé Ansia non abbia l’intento di ostacolare le altre emozioni e fintanto che nessuno la considera svolge il suo lavoro in modo pacifico e apparentemente collaborativo. Quando qualcuna di loro prova a interferire nel suo piano di sicurezza di Riley diventa molto reattiva.
Ogni volta che viene tentato di toglierla dal comando Ansia diventa più aggressiva e pericolosa: quando noi cerchiamo di combatterla, di scacciarla, quando noi non la vogliamo all’interno della nostra mente, allora lei passa in all’attacco e finisce per allontanare le altre emozioni con più impeto e con strategie più efficaci durature.
La fine dell’escalation: l’Attacco di Panico
Chiunque abbia vissuto o abbia anche solo vagamente l’idea di cosa sia un attacco di panico non può che essersi rivisto e commosso in una delle scene finali del film. Riley è talmente incasinata tra i suoi scenari che non riesce più a capire in modo lucido come comportarsi, che atteggiamenti e azioni portare avanti: in quel momento si blocca.
Mentre all’interno Ansia è nel caos più totale, passa da un comando all’altro, da un’idea all’altra, da una reazione all’altra e va ad una velocità talmente elevata che provoca un vero e proprio cortocircuito. Un blackout totale, all’esterno la ragazza è immobile, congelata, con gli occhi fissi e sbarrati, il cuore che batte a mille e la respirazione che si fa sempre più affannata.
Questo, che possiamo catalogare come un vero e proprio attacco di panico, non è altro che il risultato di un’escalation che porta ad una sorta di spegnimento emotivo. A un certo punto tutto quello che crediamo che possa servire non funziona, non sappiamo che altro fare. L’unica cosa che in quel momento è attiva dentro di noi e l’Ansia e il nostro sistema va in tilt.
Il senso di sé: la costruzione della nostra identità
Con l’inizio dell’adolescenza, la nostra mente si fa più complessa e iniziamo a differenziarci dagli altri in modo sempre più specifico, sempre più speciale. Diventiamo quell’essere umano con delle determinate caratteristiche che tutti riconoscono: diventiamo “noi”.
Nel film viene introdotto il concetto di “senso di sé”, un alberello che ha alla sua base i ricordi di Riley più significativi, che comprendono le scelte che ha fatto, le esperienze che ha vissuto che le hanno fatto provare un’emozione piuttosto che un’altra.
Viene rappresentato quindi come un albero che cresce e si nutre con le esperienze più impattanti nella nostra vita e che si modifica a seconda di quali fatti e ricordi vengono custoditi alla base nelle sue radici.
Quando Gioia è al comando il cuore dell’identità di Riley è formato da ricordi che la rappresentano in tutte le sue emozioni, che le ricordano cosa la rende triste, cosa la fa arrabbiare, com’è quando è spaventata ecc. I ricordi a più alto impatto emotivo vanno a nutrire il senso di sé di Riley.
L’impatto di Ansia
Quando invece prende Ansia il comando e tutte le altre emozioni sono confinate nell’inconscio, sono dissociate, tutti quei ricordi base vengono sostituiti da ricordi generati da Ansia, sia che riguardino esperienze già vissute sia che riguardino previsioni catastrofiche per il futuro.
In questo modo il senso del sé originario di Riley diventa debole e viene addirittura strappato via alla base, provocando quindi un momento di spaesamento, di distacco, di perdita e di senso di vuoto nella protagonista. Successivamente, i ricordi e le previsioni ansiose vanno a generare un nuovo senso di sé, che se non venisse contrastato, cambierebbe totalmente la sua identità.
Nel film si vede molto bene come, appunto, avere continuamente e unicamente pensieri gestiti da Ansia, smettendo di avere i nostri pensieri usuali, ci rende irriconoscibili sia a noi stessi che ad altri che ci conoscono da una vita.
Questo può provocare un momento di distacco, rifiuto e isolamento sociale che potrebbe mantenere la nostra Ansia al controllo, sempre con l’obiettivo di provare a migliorare le cose e a salvarci dalle catastrofi.
Il circolo vizioso è molto chiaro: più mi scosto dal mio senso di me, più le cose che cambiano intorno mi spaventano, mi minacciano, più sento il bisogno di controllare e prevedere il futuro attraverso Ansia.
Come stare in contatto alle nostre emozioni più complesse?
Con tutte queste difficoltà che abbiamo elencato la vita della protagonista sembra messa a dura prova ma nonostante questo aumentato pericolo, alla fine tutto si risolve per il meglio. Riley riesce a ritrovare se stessa e le nuove emozioni collaborano per integrare con il loro contributo il suo senso di sé.
Andiamo ad analizzare gli strumenti, le strategie che permettono alla ragazza di ottenere il suo meritato lieto fine.
Accettazione
Così come era successo nel primo film con l’accettazione della Tristezza, anche in questo caso è cardinale il nucleo per cui ogni emozione è comunque un’emozione funzionale, non importa quanto sembri comprometterci la vita.
Ancora una volta Inside Out ci aiuta a comprendere che qualora c’è un’emozione dentro di noi la cosa peggiore che possiamo fare è cercare di combatterla, scacciarla dalla nostra mente. La cosa più funzionale è cercare di comprenderla, accoglierla in primis.
Anche se non è chiaro qual è il suo scopo, provare a cercarlo è importante: se questa condizione, questa emozione esiste, è presente nella nostra mente, avrà di certo un buon motivo per stare lì. Incuriosiamoci sempre di più e arriviamo a capirne il senso. Solamente così ci sentiremo in grado di gestire anche le emozioni più costose.
Integrazione
Accoglienza, accettazione e soprattutto integrazione emotiva sono strumenti da avere sempre a portata di mano, hanno un potere inestimabile.
L’integrazione delle emozioni, che viene rappresentato così magistralmente in quell’abbraccio cosi potente da interrompere l’attacco di panico, ci insegna che nonostante a volte sembra che i nostri pensieri siano contrastanti, hanno tutti alla base lo scopo di farci vivere la vita al nostro meglio. Mettiamo le nostre emozioni sedute in una sorta di tavola rotonda, tutte alla pari, ascoltiamole e capiamo come comportarci alla luce di ognuno dei loro punti di vista.
Solo se abbracciamo tutte le nostre parti riusciamo a restare lucidi e in equilibrio con la nostra identità.
Rallentare
Quando ci sentiamo sopraffatti dall’Ansia o da altre emozioni, rallentiamo: prendiamoci una pausa, mettiamoci su una poltrona comoda con qualcosa di gradevole da sorseggiare, da ascoltare, un posto sicuro da visualizzare e aspettiamo che il momento passi.
Ogni stato emotivo è transitorio per sua natura, lasciamo che passi. In questo modo riusciremo a Gioire del momento presente anche se sappiamo che c’è qualcosa che potrebbe preoccuparci, dopo.
Essere flessibili
Il “senso di sé” in ognuno di noi è flessibile e più lo coloriamo di emozioni e situazioni diverse più riuscirà ad adattarsi alla nostra vita futura. I cambiamenti esistono ma se sono fisiologici (e non ad esempio legati ad un trauma) sono lenti, ci permettono di adattarci alle nuove scoperte che facciamo senza stravolgere il nostro senso di identità.
Il modo in cui cresce l’albero della nostra identità dipende da quali elementi mettiamo nel lago che ne nutre le radici. Per adattarci ai cambiamenti futuri è un vantaggio se il nostro albero ha rami più flessibili, che nonostante si pieghino non si spezzano (facendoci perdere parti di noi).
Dare importanza ai ricordi
Ogni ricordo è importante. Se buttiamo via brutti ricordi, proviamo a non dare peso a cose che ci succedono rischiamo di sottovalutare i rischi di alcune situazioni.
Allo stesso modo se ci dimentichiamo come ci fanno sentire certe situazioni e ci scordiamo di quanto arrabbiati, impauriti, disgustati o tristi siamo stati, rischiamo di ipervalutare la nostra Gioia, e di sentirci in modo sproporzionato in grado di far fronte a tutto senza alcun costo e questo può essere molto svantaggioso.
Evitare di rimuovere momenti della nostra vita ci aiuta anche a non accumulare brutti “segreti oscuri”.
Nella scena post-credit viene svelato qual è l’oscuro segreto di Riley, quell’essere mostruoso che la protagonista ha intrappolato nello spazio più lontano e inarrivabile della propria mente per evitare di entrarci in contatto.
Si viene a scoprire che in realtà (con enorme sorpresa di Gioia) il più terribile segreto della ragazzina riguarda un episodio dell’infanzia in cui ha accidentalmente fatto un buco in un tappeto, provando paura e imbarazzo.
Se lasciamo nei caveaux chiusi della memoria questi ricordi, rimangono potenti e giganti come nel momento in cui li abbiamo vissuti: in questo modo non si possono integrare e soprattutto depotenziare. Chi penserebbe a un piccolo incidente domestico come ad un segreto terribile da custodire a 20 o 30 anni?
Conclusioni
Questo film di animazione ci offre quindi numerosissimi spunti di riflessione su come stare in contatto con noi stessi, su come spiegarci alcuni momenti critici che viviamo, su come sia fondamentale fare spazio ad ogni parte di noi, non importa quanto sentiamo che non ci piace, che non ci da Gioia.
Molte delle situazioni presentate nelle scene del film sono familiari a tutti noi e, se non abbiamo una squadra di emozioni che lotta per tornare a funzionare bene, come avviene nel film, è importante che qualcuno dall’esterno ci aiuti: lo psicoterapeuta e i professionisti della salute mentale sono un valido aiuto qualora le nostre emozioni guerriere non riescano a fare tutto da sola. Sarebbe un peccato lasciarle in difficoltà no?