Il corpo in psicoterapia
Il nostro corpo fisico è la casa all’interno della quale risiede il nostro cervello e come tale fornisce un’àncora a chi siamo e a come ci muoviamo nel mondo. Senza il nostro corpo semplicemente non siamo.
La ricerca scientifica ci aiuta a capire come i nostri processi mentali abitino il corpo tanto quanto il cervello. Il corpo infatti è collegato al cervello tramite fasci di fibre nervose che consentono un’integrazione rapida ed efficiente di sensazioni, emozioni, cognizioni e azioni (Kearney & Lanius, 2022).
I contenuti della mente sono embodied, incarnati e radicati nel corpo. Noi siamo dunque sia mente che corpo e la storia di una persona si legge nella maniera in cui usa il suo corpo, in cui si muove, nelle sue tensioni, nella sua postura (Kurtz, 1990).
È per questo che il corpo è riconosciuto sempre più come protagonista nella stanza di psicoterapia nel lavoro con tutte le tipologie di pazienti, in particolare quelli affetti da trauma.
Trauma, corpo e cervello
Il trauma è un’esperienza unica e individuale, di un evento o di una serie di eventi che, in modo puntuale o duraturo, sopraffanno la capacità del soggetto di integrare la propria esperienza. Viene soverchiata la capacità di rimanere presenti, di comprendere quanto accade, di integrare sensazioni, emozioni e pensieri e di dare significato all’esperienza all’interno di un senso di sé sufficientemente coeso (Tagliavini, 2023).
In virtù di ciò il trauma è immagazzinato a un livello più basso del sistema nervoso: i ricordi del trauma sono di tipo neurocettivo, sensoriale e comprendono aspetti emozionali avulsi dalla narrazione.
Se una persona ha subito eventi traumatici il corpo ha delle cicatrici. È ormai acclarato che le esperienze dello sviluppo hanno effetti strutturali sia a livello psichico che somatico e che traumatizzazioni ripetute alterano il normale corso dello sviluppo mentale sia a livello neuroanatomico che funzionale.
Se il trauma è precoce e avviene mentre il corpo sta crescendo, il corpo e il sistema nervoso si svilupperanno conseguentemente dal punto di vista anatomico.
Il cervello infatti è un organo uso-dipendente (Tagliavini, 2023). Se chi abitualmente dovrebbe accudire un bambino lo espone anche a maltrattamenti, abusi o a grave trascuratezza emotiva (neglect), il cervello si svilupperà per far fronte a quella situazione e dunque il sistema nervoso crescerà in un’attivazione costante di circuiti sottocorticali connessi alla sopravvivenza.
Il bambino traumatizzato non ha dunque ‘solo’ ricordi traumatici; ha proprio un cervello danneggiato.
Gli studi neuroscientifici
Gli studi di neuroscienze hanno mostrato che il cervello di un bambino cresciuto in un ambiente sufficientemente buono ha un volume più grande e non mostra segni di sofferenza. Cosa che non possiamo dire per il cervello di un bambino che ha vissuto esperienze di traumatizzazione. Questo infatti ha un volume più piccolo, ci sono pochi neuroni, poco in connessione tra loro; c’è un deficit di sostanza grigia.
La dimensione corporea rappresenta dunque una dimensione imprescindibile dei meccanismi di traumatizzazione. Il corpo è cruciale perché la persona ricorda i traumi passati attraverso la riattivazione sensomotoria di ricordi impliciti non verbali sotto forma, per esempio, di un’esperienza corporea disregolata. Oppure con la messa in atto di risposte difensive che non sono più adeguate alla situazione attuale; o ancora con emozioni soverchianti, come pure anche tramite misteriosi sintomi fisici privi di base organica inaccessibili al ricordo verbale.
L’esperienza non verbale del trauma tende a continuare a vivere nel corpo (Ogden, Pain & Fisher, 2006) perché il corpo tiene traccia (van der Kolk, 2014) anche quando il paziente non riesce a recuperare un’esperienza traumatica o la ricorda in modo frammentato.
Approcci bottom-up e nuovi sviluppi scientifici
Alla luce di quanto detto sopra, la psicoterapia focalizzata sul trauma non può non avvalersi di strumenti che vanno al di là della parola.
Limitarsi ad ascoltare solo le parole del paziente senza portare attenzione all’esperienza somatica limita infatti di gran lunga l’efficacia terapeutica.
In psicotraumatologia c’è ormai la consapevolezza che la necessità di trattare pazienti le cui funzioni mentali superiori possono essere scarsamente integrate, in aggiunta alle conseguenze somatiche e neurovegetative di esperienze di traumatizzazione, ha determinato la nascita e la diffusione di approcci e tecniche psicoterapeutiche focalizzate sull’esperienza corporea.
Tali strumenti terapeutici sono stati definiti bottom-up proprio perché agiscono sulle funzioni mentali evoluzionisticamente più antiche per favorire la realizzazione e l’integrazione dell’esperienza di sé da parte delle persone cronicamente traumatizzate (La Rosa & Onofri, 2017; Tagliavini, 2011).
Gli approcci al PTSD
Sviluppi scientifici recenti hanno inoltre migliorato la comprensione dei meccanismi neurobiologici che sono alterati nel Disturbo da Stress Post-Traumatico (DSPT), inclusa l’identificazione di una connettività funzionale alterata di regioni corticali e sottocorticali (tra gli altri, Kearney & Lanius, 2022).
Nonostante tale conoscenza l’integrazione delle scoperte neuroscientifiche all’interno della pratica psicoterapeutica resta in gran parte all’inizio.
Sebbene gli approcci di trattamento gold-standard sembrano attenuare i sintomi legati al DSPT (McLean, Levy, Miller & Tolin, 2022) i tassi di dropout associati a questi interventi risultano di una persona su 5 (Lewis, Roberts, Gibson & Bisson, 2020). Fino a circa la metà dei soggetti risulta non responsivo al trattamento (tra gli altri, Imel, Laska, Jakupcak & Simpson, 2013).
Di conseguenza può esserci un bisogno di trattamenti nuovi e guidati neuroscientificamente che permettano di affrontare i potenziali ostacoli alla cura in condizioni cliniche trauma correlate come il DSPT (Kearney et al., 2023).
Il Deep Brain Reorienting (DBR): un approccio neuroscientifico alla cura del trauma
Il DBR rappresenta una psicoterapia di tipo bottom-up, di nuova concezione nell’ambito della cura del trauma psicologico.
È stata sviluppata dallo psichiatra Frank Corrigan come frutto di una vasta comprensione teorica e neuroscientifica dei processi sottocorticali del cervello implicati nella risposta al trauma.
Il DBR è un approccio terapeutico che mira ad accedere al nucleo dell’esperienza traumatica tracciando la specifica sequenza neurofisiologica attivata nel tronco encefalico in risposta a un evento traumatico e che persiste quando c’è uno stimolo che fa da trigger dell’evento stesso (Corrigan & Christie-Sands, 2020).
Le basi neurofisiologiche
Corrigan ha cercato di studiare cosa succede nel cervello quando avviene un evento traumatico e così ha concentrato la sua attenzione sul mesencefalo e sulla parte superiore del tronco cerebrale. Questo perché quando ci orientiamo verso qualcosa che è terrificante o scioccante la prima reazione è proprio nel tronco encefalico ed è lì che otteniamo la prima risposta fisiologica.
Se dunque l’impatto del trauma nel cervello avviene inizialmente nel tronco encefalico riuscire ad avere accesso in quella regione del cervello potrebbe aiutare il paziente nella cura del trauma.
Il fulcro del DBR è rappresentato dalla sequenza OTA. Essa si struttura nel mesencefalo, vale a dire nella parte del cervello dove sono depositate le memorie traumatiche molto profonde che stanno sotto il livello ippocampale.
La sequenza OTA ci permette di elaborare i contenuti affettivi dell’esperienza traumatica in completa sicurezza, curandoli dalle radici più profonde dell’impatto iniziale del trauma nel cervello.
La sequenza OTA include tensione di orientamento, shock e risposte affettive e si tratta di processi mediati rispettivamente dal Collicolo Superiore (CS), dal Locus Coeruleus (LC) e dal Grigio Periacqueduttale (PAG). Queste regioni sottocorticali del mesencefalo e del tronco encefalico sembrano attivarsi in rapida e prevedibile successione non appena avviene l’impatto con stimoli salienti (Lanius et al., 2017; 2018).
Ciò che viene enfatizzato nel DBR è il ruolo del CS nell’orientare la testa e il collo verso (o via da) uno stimolo (Gandhi & Katnani, 2011), dato che questa risposta neurofisiologica di base risulta antecedente alle conseguenze emotive.
Caratteristiche del DBR
Il DBR presenta alcune caratteristiche peculiari:
- Innanzitutto il DBR sfrutta la conoscenza della neuroanatomia del mesencefalo per guidare la consapevolezza corporea attraverso una sequenza metodologica neurobiologicamente fondata.
- Il DBR si concentra sulla risposta di orientamento associata con l’iniziale reazione dell’individuo allo stimolo traumatico. L’attenzione focalizzata sulla tensione di orientamento, che può essere elicitata da rappresentazioni interiorizzate degli eventi traumatici attraverso la ricezione da parte del CS di input corticali, permetterebbe il processo di elaborazione emotiva in un modo più regolato rispetto ad altri approcci terapeutici. Questa tensione di orientamento nei muscoli della fronte, intorno agli occhi o nella parte posteriore del collo si attiva ogni qualvolta un evento ci colpisce. La tensione di orientamento, sebbene spesso fugace e inconsapevole, è una componente cruciale del DBR. Cercare di accedere a questa tensione derivante dal rivolgere l’attenzione al ricordo dell’evento traumatico, o a qualunque sia stato il fattore scatenante attuale, aumenta la consapevolezza di questa tensione di orientamento e fornisce un’àncora per radicarsi al momento presente. In questo modo il paziente resta all’interno della finestra di tolleranza e mantiene un senso di sé incarnato senza disregolazione emotiva.
- Il DBR consente di entrare nei circuiti cerebrali della sofferenza senza però stare pienamente a contatto con le emozioni. Focalizzando l’attenzione sulla sequenza OTA partiamo da quelle tensioni profonde che sono depositate nel CS e che sono implicite, quindi non coscienti, e che precedono l’attivazione delle emozioni nel PAG. L’obiettivo del DBR è quello di intervenire sui precursori dell’attivazione traumatica sciogliendo proprio quelle tensioni di orientamento (pre-PAG) che tengono bloccate le emozioni, permettendo di liberarle completamente. La tensione di orientamento rappresenta una sorta di valvola che permette di aprire o chiudere l’attivazione affettiva nel PAG mantenendo il paziente all’interno della finestra di tolleranza e quindi aumentando la sicurezza dell’intervento. In altre psicoterapie efficaci del trauma, come ad esempio l’EMDR (Shapiro, 2018), il focus è su circuitazioni talamo corticali associate alle circuitazioni limbiche e questo implica l’esposizione diretta alle emozioni. Il contatto diretto con le emozioni può essere così soverchiante da portare alla dissociazione durante la seduta e questo perché la via d’accesso è il PAG e l’attivazione del PAG può essere sopraffacente per il paziente. Rimanere ancorati alla tensione di orientamento, invece, significa lavorare sull’attivazione del CS, che precede il PAG, e questo permette di restare radicati ed elaborare il trauma dalle radici più profonde, in sufficiente sicurezza. Le principali terapie del trauma bottom-up agiscono su circuiti cerebrali post-PAG, vale a dire dal PAG in poi. Il DBR invece, e qui sta il suo carattere unico e rivoluzionario, lavora sulle tensioni collicolari, implicite, inconsce, che precedono l’attivazione emotiva del PAG.
- Il DBR è una terapia trasformativa scientificamente fondata che si basa sulla capacità intrinseca del cervello umano di trovare la guarigione dai traumi emotivi; la guarigione avviene dall’interno della persona e il terapeuta deve rispettare che il cervello del paziente sappia come gestire al meglio il processo. Il terapeuta DBR avrà il ruolo di consentire al processo di fluire nel modo in cui deve fluire anche se a volte significa stare in silenzio non sapendo veramente cosa sta succedendo nel cervello della persona. L’elaborazione con l’approccio DBR consente al paziente di essere nel corpo in un modo diverso: permette una maggior connessione con la propria esperienza di essere nel corpo e di sentire che il corpo è proprio.
Obiettivi terapeutici della sequenza OTA
Come indicato in precedenza, il DBR dirige l’attenzione alla sequenza di risposta neurobiologica OTA associata con l’esposizione a stimoli traumatici. Dal punto di vista terapeutico questo processo si svolge nel seguente modo:
O (Orientamento)
Orientare al presente. Prima che l’elaborazione inizi volgendo l’attenzione allo stimolo attivante (per esempio un momento saliente all’interno dell’evento traumatico) il paziente è guidato in un esercizio di radicamento al momento presente e alla consapevolezza di come il corpo è posizionato in relazione a tutto ciò che lo circonda.
Successivamente il paziente è invitato a portare alla mente il ricordo dello stimolo attivante all’interno dell’evento traumatico. La fitta connettività del CS con la corteccia permette l’emergere dei ricordi dello stimolo originale necessari a indurre l’iniziale risposta di orientamento che era presente durante l’evento traumatico (Lanius et al., 2018).
T (Tensione)
Il terapeuta chiede al paziente di notare ogni tensione che emerge e lo guida nel diventarne consapevole. Una volta che la tensione è identificata, quasi sempre nei muscoli attorno agli occhi, sulla fronte o nella parte posteriore del collo, il paziente è incoraggiato semplicemente a notarla, prendendosi tutto il tempo che gli necessita e permettendo alla fase successiva di emergere naturalmente.
Qualora il paziente sperimentasse una forte emozione, il terapeuta lo riorienta nuovamente verso l’identificazione della tensione che emerge in preparazione di una risposta motoria della testa, del collo, e della parte superiore del corpo, processi avviati dagli strati più profondi del CS.
S (Shock)
Lo shock è un processo fisiologico e neurochimico sempre presente al momento dell’impatto di un trauma o di una ferita emotiva. La risposta allo shock si manifesta come una tensione nelle spalle o nella parte superiore del busto, una sensazione di trazione dietro agli occhi, un’improvvisa rigidità di parti del corpo, un senso di svuotamento.
Fondamentalmente il terapeuta assicura che il paziente resti radicato al momento presente attraverso la consapevolezza della tensione di orientamento che funge da àncora a cui tornare qualora la risposta allo shock diventasse troppo angosciante.
Il terapeuta, inoltre, fornisce commenti minimi ma sintonizzati sull’esperienza fisica del paziente e incoraggia a fare in modo che la risposta fluisca invece di tentare di bloccarla.
La percezione del pericolo spinge l’individuo a prepararsi al movimento e questo può accadere anche prima che venga generata qualsiasi emozione.
Quando lo shock derivante da un trauma, da una perdita o da un profondo dolore emotivo non viene trattato, la ferita non è in grado di guarire e l’esperienza resta non elaborata.
A (Affetto)
Con il supporto del terapeuta il paziente identifica poi l’affetto legato alla sequenza, come ad esempio paura, rabbia, dolore, vergogna.
A valle della iniziale tensione di orientamento e dell’attivazione del LC, le risposte affettive si pensa siano mediate dal PAG. Questa regione del mesencefalo integra l’informazione sensomotoria in arrivo dal CS con l’informazione emotiva proveniente dalla corteccia limbica e dalle strutture sottocorticali per valutare il significato emozionale di un evento e attuare l’appropriata difesa motoria.
Senza un’adeguata attenzione alla tensione di orientamento e all’elaborazione di qualche shock, un’attivazione eccessiva del PAG può risultare in una risposta di attacco/fuga (attraverso il PAG dorsolaterale) o risposte difensive di spegnimento (attraverso il PAG ventrolaterale).
Nel DBR il terapeuta assicura una lenta progressione attraverso ciascuna componente della sequenza prima dell’affetto e al fine di evitare la sopraffazione incoraggia il paziente a rimanere consapevole della tensione di orientamento mentre sperimenta le emozioni che alla fine emergono.
L’affetto può fluire naturalmente una volta che i componenti della sequenza sono stati identificati e approfonditi. A questo punto il paziente è incoraggiato a rimanere con le proprie emozioni e questo permette al processo di elaborazione di fluire.
Studi di efficacia del Deep Brain Reorienting
Nonostante lo sviluppo di una teoria dettagliata attorno ai meccanismi di azione del DBR, mancava ancora una valutazione del grado di efficacia del DBR nel trattare la sintomatologia trauma correlata in ogni condizione psichiatrica, compreso il DSPT.
In un recente studio Kearney et al. (2023) hanno condotto il primo trial clinico randomizzato finalizzato a valutare l’efficacia di un intervento DBR con pazienti con Disturbo da Stress Post-Traumatico (DSPT).
L’intervento DBR consisteva di 8 colloqui della durata di 90 minuti condotti da uno psicoterapeuta formato in DBR, in modalità da remoto.
I risultati del trial hanno rilevato una maggiore riduzione della sintomatologia DSPT post-trattamento nel gruppo di trattamento con DBR, se confrontato al gruppo di pazienti in lista d’attesa.
In particolare, i soggetti sottoposti a trattamento con DBR hanno mostrato una riduzione del 36.6% nei sintomi DSPT dal pre-trattamento al post-trattamento e una riduzione del 48.6% dal pre-trattamento a 3 mesi di follow-up (FU), che contrastava con una riduzione dell’8% e del 15.1% rispettivamente per i soggetti in lista d’attesa.
Questi miglioramenti clinici corrispondevano a 14 su 29 soggetti del gruppo DBR che non vedevano più soddisfatti i criteri per il DSPT nel post-trattamento (48.3%) e 12 su 23 soggetti (52.2%) dopo 3 mesi di FU.
Nel gruppo in lista d’attesa solo un soggetto non soddisfaceva più i criteri al termine del periodo dell’intervento (4.0%) e a 3 mesi di FU (4.3%).
È importante considerare che il tasso di abbandono nel gruppo DBR è stato molto basso, collocandosi al 4.3% – solo un partecipante infatti ha interrotto prematuramente – e questa percentuale è molto inferiore a un tasso medio di abbandono fino al 18% – e anche maggiore – in altri trattamenti focalizzati sul trauma (tra gli altri, Roberts, Lotzin & Schäfer, 2022).
Conclusioni
Questi risultati preliminari suggeriscono un’efficacia del DBR nel trattamento del DSPT che può essere paragonabile agli attuali trattamenti gold-standard per soggetti con PTSD (tra gli altri, McLean et al., 2022) con il vantaggio aggiuntivo di un minor tasso di drop-out.
Sebbene ancora si tratti di ipotesi, i sintomi legati al DSPT possono avere origine nelle alterazioni funzionali a carico delle regioni sottocorticali del CS, LC e PAG creando una spiegazione esplicativa di come il DBR possa fornire il suo contributo nell’attenuare i sintomi del DSPT.
Ulteriori studi serviranno a chiarire fino a che punto il meccanismo ipotizzato sottostante il DBR contribuisca all’efficacia del trattamento.
Man mano che le frontiere della nostra comprensione neurologica si espandono, aumenta anche la ricchezza degli strumenti e delle competenze all’interno del lavoro clinico.
La neurobiologia evidenzia l’aspetto somatico del lavoro sul trauma e sottolinea l’importanza della consapevolezza corporea nella psicoterapia del trauma.
Essere consapevoli della struttura e della funzione del cervello consente ai terapeuti di perseguire un approccio basato sull’evidenza poiché il lavoro clinico sarà sostenuto da considerazioni neurologiche comprovate.
Inoltre l’integrazione della ricerca sul neuroimaging con la pratica clinica darebbe ai pazienti la fiducia che la terapia che stanno seguendo ha solide basi scientifiche.
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