Differenze individuali nella sensibilità sono state osservate in molte specie, compresi gli esseri umani (Wolf, van Doom & Weissing, 2008; Nasca et al., 2014; Pennisi, 2016; Krishnan, 2015).
Anche se la sensibilità è rilevante per tutti (data l’importanza dell’adattamento a specifiche condizioni ambientali per uno sviluppo di successo) alcuni individui sembrano essere significativamente più sensibili di altri (Aron et al., 2012; Belsky & Pluess, 2009; Ellis et al., 2011).
Un gran numero di studi ha cercato di spiegare tali differenze: ad esempio, alcuni tratti del temperamento (Kim & Kochanska, 2012) e alcune varianti genetiche (Mitchell et al., 2014) sono state associate a una maggiore sensibilità.
Gli studi recenti
Secondo studi empirici e teorie recenti, le persone differiscono sostanzialmente nella loro sensibilità.
Lionetti e colleghi, in un lavoro del 2018, hanno esplorato l’esistenza di diversi livelli di sensibilità in un campione di 906 adulti che hanno compilato “la scala della persona altamente sensibile” (a questo link si trova una traduzione in italiano del test pubblicato da Elaine Aron sul suo sito ufficiale: https://hsperson.com/).
Le analisi statistiche condotte da Lionetti e colleghi (2018) hanno suggerito l’esistenza di tre gruppi: un gruppo altamente sensibile (31%), un gruppo a bassa sensibilità (29%), ed un terzo gruppo (40%) caratterizzato da media sensibilità. Ai tre gruppi gli autori hanno scelto di riferirsi rispettivamente come “orchidee” (alta sensibilità), “denti di leone” (bassa sensibilità) e “tulipani” (media sensibilità), in linea con la metafora dei fiori.
Di seguito vengono riassunte le principali considerazioni svolte dagli autori, le conclusioni cui giungono e le principali implicazioni per la ricerca e la pratica clinica.
L’alta sensibilità: un fattore di rischio o un fattore di protezione?
Tradizionalmente, le differenze nella sensibilità sono state interpretate guardando ad essa come a un fattore di vulnerabilità, secondo il modello diatesi-stress (Monroe & Simons, 1991).
Secondo questa prospettiva, gli individui più sensibili sono più vulnerabili agli effetti negativi delle avversità contestuali (ad esempio: eventi di vita negativi), mentre gli individui meno sensibili si dimostrerebbero più resilienti di fronte alla stessa esperienza negativa.
Tuttavia, questa visione è stata messa in discussione da teorie ispirate all’evoluzione, secondo cui gli individui più sensibili possono non solo essere più condizionati dagli effetti negativi delle esperienze avverse, ma anche più reattivi agli effetti benefici delle esposizioni ambientali positive (Ellis & Boyce, 2008).
L’alta sensibilità e le sue componenti
Lo studio di Lionetti e colleghi (2018) si proponeva di testare l’esistenza di gruppi di sensibilità distinti, come suggerito da diverse teorie sulla sensibilità ambientale (Belsky & Pluess, 2009; Aron & Aron, 1997; Boyce & Ellis, 2005). Ma anche di chiarire se la misura di auto-report applicata, la scala HSP, misurasse un costrutto unitario di sensibilità.
Originariamente, la scala HSP è stata progettata per valutare un costrutto unidimensionale di sensibilità: la “sensibilità di elaborazione sensoriale”. Lo studio, tuttavia, ha mostrato che i dati erano più coerenti con l’esistenza alcuni fattori – sottocomponenti – della sensibilità, come elencati di seguito (anche se le correlazioni moderate ma significative tra i tre fattori HSP suggerivano che potrebbe effettivamente esistere un tratto generale di sensibilità ambientale oltre alle tre sottoscale).
- facilità di eccitazione (EOE), cioè essere facilmente sopraffatti da stimoli esterni e interni (ad esempio: avere una risposta negativa quando si ha a che fare con più stimoli contemporaneamente);
- sensibilità estetica (AES), (ad esempio: essere profondamente commossi dalle arti e dalla musica);
- bassa soglia sensoriale (LST), che riflette la spiacevole eccitazione sensoriale agli stimoli esterni (ad esempio: la reazione a luci intense e a rumori forti).
L’indagine sui punteggi totali e le sottoscale di HSP tra i tre diversi gruppi di sensibilità suggeriva che i tre gruppi differivano nel grado generale di sensibilità e non nei sottocomponenti HSP.
Quindi, i tre diversi gruppi sembravano rimanere lungo un continuum di sensibilità generale, che a sua volta si costituiva come un tratto quantitativo e normalmente distribuito.
Alta, media e bassa sensibilità: il superamento della visione dicotomica
L’esistenza di un gruppo altamente sensibile (che rappresenta circa il 31% della popolazione) rilevato dagli autori è coerente con tutte le teorie sulla sensibilità ambientale (Belsky & Pluess, 2009), così come un gran numero di studi empirici, che riportano che una minoranza della popolazione sembra essere altamente sensibile (Belsky & Pluess, 2013; Suomi, 1997).
La novità introdotta da Lionetti e colleghi (2018) riguarda il fatto che gli individui meno sensibili rientrino in due gruppi distinti piuttosto che in uno solo: in altre parole, la sensibilità non sarebbe un tratto binario come implicato da molteplici teorie (Koolhaas et al., 1999) e dalla ricerca empirica sulla reattività/responsività in vari modelli animali (Stamps, 2016).
Di conseguenza, la metafora dicotomica “denti di leone” vs “orchidee” – anche se intuitivamente comprensibile e utile quando si spiegano le differenze interindividuali nella sensibilità – non è supportata da questo studio.
In sintesi, mentre alcune persone sono altamente sensibili (orchidee), la maggior parte ha una sensibilità media (tulipani) e una minoranza sostanziale è caratterizzata da una sensibilità particolarmente bassa (denti di leone).
Orchidee, tulipani e denti di leone: quali differenze nella personalità?
Un altro scopo dello studio era quello di valutare eventuali differenze in termini di tratti di personalità nei diversi gruppi di sensibilità.
Gli autori hanno trovato che le “orchidee” avevano livelli significativamente più alti di nevroticismo e reattività emotiva positiva, mentre erano più basse nell’estroversione rispetto agli altri gruppi.
I “denti di leone” avevano livelli più alti di estroversione ma punteggi più bassi di nevroticismo e reattività emotiva positiva. In sintesi, le “orchidee” tendevano ad essere più introverse e inclini all’emozionalità negativa rispetto agli altri gruppi.
Tuttavia, sembravano mostrare una risposta emotiva più forte alle esperienze positive. I “denti di leone” erano più estroversi e meno ansiosi ma allo stesso tempo meno reattivi all’induzione positiva dell’umore. Infine, i “tulipani” occupavano la via di mezzo relativamente a questi tratti.
Quali implicazioni per la psicoterapia?
Un’importante implicazione dei gruppi di sensibilità evidenziata dagli autori riguardava il fatto che le “orchidee” potessero essere più reattive all’intervento psicologico/psicoterapico rispetto ai “denti di leone”, proprio a causa della loro maggiore sensibilità alle esposizioni positive (cioè la reattività emotiva positiva).
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