Tutte le famiglie sono segnate
da qualche storia traumatica […]
che lascia il proprio marchio emotivo
su quelli che ancora non sono nati.
Galit Atlas (2022)
È indubbio che storie familiari traumatiche possono rappresentare esperienze dolorose da essere elaborate. Come tali, possono restare qualcosa di indigeribile per la nostra mente fino a costituire la nostra eredità per le generazioni successive.
Tali esperienze dunque possono influenzare non solo noi, ma anche i nostri figli e i nostri nipoti, in modi non sempre facili da comprendere. Anche se non ne abbiamo consapevolezza cosciente, infatti, tali esperienze non elaborate possono incombere nelle nostre menti e avere il potenziale di orientare la nostra vita in una certa direzione.
Il trauma intergenerazionale è tale per cui quanto vissuto in prima persona da una generazione potrebbe riverberarsi sulle generazioni successive infliggendo loro il dramma di quanto subìto e lasciandone un’impronta indelebile. Tutto ciò può avvenire senza che un ricordo sia necessariamente condiviso.
Ecco che la generazione successiva può crescere con la vaga sensazione che qualcosa di terribile possa essere successo nella storia familiare, senza sapere esattamente cosa.
I segreti, i tabù, i non detti possono rappresentare un modo di proteggere sé stessi e i figli dal dolore di esperienze altamente impattanti anche se finiscono per perseguitare come fantasmi nelle generazioni successive.
È quella che Gampel (2020) chiama la trasmissione radioattiva del trauma: come una pioggia radioattiva, gli effetti di un trauma intergenerazionale si manifestano in una serie di sintomi fisici ed emotivi che impattano potentemente nella vita di figli e nipoti.
Sintomi del trauma intergenerazionale
Le persone colpite da traumi intergenerazionali potrebbero manifestare sintomi simili a quelli del Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD), tra cui ipervigilanza e disregolazione emotiva.
Altri sintomi secondo l’American Psychiatric Association includono:
- vergogna;
- un elevato senso di vulnerabilità e impotenza;
- bassa autostima;
- sintomi dissociativi (per esempio, depersonalizzazione e derealizzazione);
- difficoltà nelle relazioni di attaccamento con gli altri (per esempio, mancanza di fiducia o incapacità a connettersi agli altri);
- difficoltà nel regolare la rabbia e l’aggressività;
- estrema reattività allo stress;
- isolamento e ritiro;
- lutto complicato;
- disturbi da abuso di sostanze;
- disturbi del sonno;
- autolesionismo e ideazione suicidaria.
Quali sono le cause del trauma intergenerazionale?
Il trauma intergenerazionale si verifica dunque quando gli effetti del trauma vengono trasmessi da una generazione all’altra.
Ciò può emergere se un genitore o un nonno ha subito esperienze infantili avverse (ACEs) (Doi, Fujiwara & Isumi, 2021) ma può anche essere il risultato di eventi collettivi che hanno colpito popolazioni per generazioni.
Pensiamo alle discriminazioni razziali, ai sopravvissuti alle guerre, all’Olocausto e ai discendenti di gruppi emarginati e oppressi nella storia.
Come avviene la trasmissione intergenerazionale del trauma?
La trasmissione intergenerazionale del trauma può avvenire attraverso molteplici percorsi.
Il percorso più evidente passa attraverso il comportamento e dunque le modalità relazionali del genitore con il figlio. È ormai acclarato che le difficoltà psicologiche esperite nelle generazioni successive possano essere anche la risultante dell’essere cresciuti da genitori che hanno vissuto esperienze traumatiche nella loro vita.
Pensiamo, per esempio, a quanto la presenza di lutti o traumi non risolti nella memoria del genitore è stato identificato come un fattore di rischio dell’attaccamento disorganizzato e quanto la disorganizzazione del sistema dell’attaccamento rappresenti un fattore di rischio per diversi sviluppi psicopatologici (tra gli altri, Liotti e Farina, 2011).
Essere accuditi ad esempio da una madre che rivive nella mente gli eventi orribili della sua storia passata comporta un alto rischio di trasmissione intergenerazionale del trauma. Viene infatti meno la costruzione di quella condizione di sicurezza necessaria al soddisfacimento di bisogni funzionali alla sopravvivenza.
In anni più recenti si è iniziato a studiare quanto le esperienze traumatiche possono influenzare le generazioni successive già durante la gestazione o come conseguenza di cambiamenti nelle cellule uovo e nello sperma. Questi canali di trasmissione sembrano coinvolgere l’epigenetica.
Cos’è l’epigenetica
Epigenetica è il termine usato per descrivere l’insieme di alterazioni del proprio patrimonio genetico dovute a conseguenze ambientali. Quindi il campo dell’epigenetica si concentra su come i comportamenti e l’ambiente influenzano l’espressione genica.
I ricercatori stanno studiando come gli eventi di vita possono alterare il meccanismo attraverso il quale il gene viene espresso e come questi cambiamenti possono essere trasmessi alle generazioni successive.
Se davvero questi cambiamenti epigenetici, acquisiti come conseguenza di esperienze emotive avverse, possono essere tramandati anche alle generazioni successive, allora potremmo concludere che le esperienze traumatiche avrebbero un impatto biologico, oltre che psicologico, sulle generazioni a venire.
La ricerca sull’eredità epigenetica
Esiste ormai un numero crescente di studi che supporta l’idea che gli effetti del trauma possono riverberarsi sulle generazioni successive proprio attraverso l’epigenetica.
Costa, Yetter & DeSomer (2018), per esempio, hanno rilevato che i figli di prigionieri di guerra avevano un tasso di mortalità superiore dell’11% rispetto ai figli di veterani non prigionieri di guerra, pur tenendo conto dello status socio economico del padre, il lavoro e lo stato civile del figlio.
Questo eccesso di mortalità era principalmente dovuto a tassi più elevati di emorragia cerebrale. È interessante notare che i figli, e non le figlie, sembravano più esposti a questo rischio e proprio questa differenza nel sesso dei figli ha spinto i ricercatori a ipotizzare che le differenze di salute potessero essere la conseguenza di cambiamenti epigenetici.
Un altro studio (Yehuda et al., 2016) è stato condotto sui figli di sopravvissuti all’Olocausto. I ricercatori hanno osservato dei cambiamenti epigenetici in un gene legato ai livelli di cortisolo, l’ormone coinvolto nella risposta allo stress. Questi cambiamenti non erano presenti nei figli di genitori ebrei che vivevano fuori dall’Europa durante l’Olocausto. In particolare, gli autori dello studio hanno trovato livelli di cortisolo perennemente bassi nei sopravvissuti all’Olocausto che erano la conseguenza di un processo di metilazione del DNA. L’esposizione continua a situazioni traumatiche porta alla produzione eccessiva di cortisolo che sarebbe tossica. In virtù di ciò il gene si riveste di gruppi chimici che ne inibiscono la produzione (tale rivestimento chimico prende il nome di metilazione).
Ci sono stati anche studi che hanno valutato l’impatto generazionale del trauma sui figli di persone che hanno vissuto la carestia olandese negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale. Studi sulla prole di donne incinte durante il cosiddetto inverno della fame fornirono una prima indicazione degli effetti nell’utero: i figli delle donne che erano stati in utero durante la carestia morivano prima dei coetanei e avevano tassi più elevati di obesità, diabete e schizofrenia. Alcuni ricercatori hanno cercato di esplorarne il motivo e hanno rilevato che questi figli portavano un segno chimico specifico, una firma epigenetica, su uno dei loro geni.
Obiezioni agli studi
Gli studi sull’uomo sono esposti però a un’obiezione ovvia: il trauma avrebbe potuto essere trasmesso attraverso la genitorialità piuttosto che per l’epigenetica. È legittimo supporre infatti che l’aver vissuto un’esperienza traumatica, come l’essere prigioniero di guerra, potrebbe aver avuto un impatto nella vita di quelle persone andando a interferire nel loro ruolo genitoriale, a scapito della vita dei loro figli.
L’impatto psicologico di crescere con un genitore che ha rischiato di morire di fame da bambino o è sopravvissuto all’Olocausto infatti potrebbe essere di per sé sufficiente a plasmare il comportamento di un bambino.
La risposta a questa obiezione chiama in causa gli esperimenti controllati sui topi volti ad approfondire la domanda rispetto a un’eventuale trasmissione epigenetica del trauma alle generazioni successive.
Lo studio in risposta alle obiezioni
Nel 2014 Dias e Ressler, due ricercatori della Emory University School of Medicine, hanno riportato un percorso epigenetico intergenerazionale che attraversava lo sperma. Hanno dato a un topo maschio una leggera scossa elettrica in associazione a un profumo di fiori di ciliegio, stimolando così una risposta di paura all’odore. Curiosamente, la progenie maschile dei topi ha mostrato una reazione di nervosismo al profumo dei fiori di ciliegio in misura maggiore dei topi i cui padri non erano stati condizionati ad associare profumo e stimolo aversivo.
Al fine di escludere un ruolo dell’ambiente sono stati allevati da topi non imparentati che non avevano mai annusato fiori di ciliegio. Anche i nipoti dei topi maschi traumatizzati hanno mostrato una maggiore sensibilità al profumo di ciliegio e la cosa interessante è che nessuna delle generazioni successive ha mostrato una maggiore sensibilità a odori diversi dai fiori del ciliegio, a conferma di quanto l’eredità fosse specifica per quel profumo.
Questa sensibilità al profumo dei fiori di ciliegio è stata ricondotta alle modificazioni epigenetiche nel loro DNA, in particolare su un gene che codifica un recettore dell’olfatto. È interessante notare che la seconda e terza generazione di topi non aveva paura del profumo in sé, come invece i topi maschi esposti direttamente al condizionamento; piuttosto mostravano una maggiore sensibilità al profumo.
Tale risultato evidenzia un elemento dell’eredità epigenetica, vale a dire che la generazione successiva potrebbe non mostrare esattamente lo stesso tratto sviluppato dai propri genitori e che la trasmissione intergenerazionale del trauma può andare incontro a delle modifiche nel passaggio tra una generazione e la successiva.
Anche se ci fosse un’eredità epigenetica non sarebbe un destino ineluttabile
La ricerca sull’eredità epigenetica appare qualcosa di estremamente affascinante e stimolante anche se nessuno è sicuro di come davvero avvenga. Sicuramente ci offre una cornice per comprendere il legame tra natura e ambiente e quanto queste si influenzino vicendevolmente.
Laddove anche fosse dimostrato in maniera incontrovertibile che il trauma viene tramandato di generazione in generazione negli esseri umani, allo stesso modo in cui sembra avvenire nei topi, non dovremmo provare un senso di ineluttabilità rispetto a questa eredità.
Dias e Ressler (2014), usando i loro esperimenti sui fiori di ciliegio nei topi, hanno testato cosa sarebbe successo se i maschi, dapprima condizionati ad aver paura del profumo, fossero stati successivamente desensibilizzati all’odore.
In termini di procedura sperimentale i topi sono stati ripetutamente esposti al profumo senza ricevere alcuna scossa elettrica. Quando i ricercatori hanno studiato lo sperma dei topi hanno notato che era stata persa la caratteristica epigenetica della paura dopo il processo di desensibilizzazione. Inoltre anche i cuccioli di questi topi non mostravano più l’accresciuta sensibilità al profumo. Quindi se un topo disimpara l’associazione tra odore e dolore, la generazione successiva potrebbe essere salvaguardata dalle conseguenze.
Se dunque lo stesso meccanismo occorresse negli esseri umani, le conseguenze del trauma sul nostro patrimonio genetico, e dunque sulle generazioni successive, potrebbero essere annullate mediante interventi di psicoterapia volti a elaborare e riprocessare le esperienze traumatiche.
Gli interventi per ridurre la trasmissione intergenerazionale del trauma
Intervenire dunque su esperienze traumatiche non solo permette alla persona che ne è stata vittima direttamente di riprendere in mano la propria vita ma permette anche di impedire la trasmissione delle conseguenze dello stesso nelle generazioni a venire. Non solo in termini ambientali, ma forse anche biologici.
A tal proposito Vinkers e collaboratori (2021), in un recente articolo pubblicato su Molecular Psychiatry, hanno dimostrato che la Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso Movimenti Oculari (EMDR; Shapiro, 1989; 1995) può modulare l’epigenetica di pazienti affetti da Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD).
Questo studio ha dimostrato che un trattamento psicoterapeutico efficace per il PTSD è associato a specifici cambiamenti di metilazione del DNA. I dati raccolti forniscono prove longitudinali che la metilazione di una specifica regione del patrimonio genetico è coinvolta sia nello sviluppo del PTSD che nel trattamento efficace dei suoi sintomi. Questi risultati rappresentano un primo passo per identificare i meccanismi epigenetici rilevanti per l’eziologia e il trattamento efficace di disturbi stress correlati come il PTSD.
La ricerca dunque fornisce un supporto all’idea che se è vero che il trauma può essere trasmesso alle generazioni successive è altresì vero che la psicoterapia può cambiare gli effetti biologici del trauma. Scegliere di affrontare la nostra eredità emotiva, iniziando dalla decisione di occuparci di quelle ferite del passato che i nostri genitori, nonni non sono riusciti a elaborare permette dunque di rompere la trasmissibilità del trauma nel futuro e mettere fine al ciclo intergenerazionale di sofferenza.
Quando impariamo a identificare l’eredità emotiva che vive dentro di noi le cose iniziano ad acquisire un senso e le nostre vite iniziano a cambiare: una porta si apre, prospettandosi una via d’accesso tra la vita presente e il trauma passato (Atlas, p.266).
Bibliografia
- Atlas, G. (2022). L’eredità emotiva. Una terapeuta, i suoi pazienti e il retaggio del trauma. Milano: Raffaello Cortina Editore.Costa, D. L., Yetter, N., & DeSomer, H. (2018). Intergenerational transmission of paternal trauma among US Civil War ex-POWs. PNAS, 115(44), 11215-11220.
- Dias, B. G., & Ressler, K., J. (2014). Parental olfactory experience influences behavior and neural structure in subsequent generations. Nature Neuroscience, 17, 89–96. doi: 10.1038/nn.3594
- Doi, S., Fujiwara, T., & Isumi, A. (2021). Association between maternal adverse childhood experiences and mental health problems in offspring: An intergenerational study. Development and Psychopathology, 33(3), 1041-1058.
- Gampel, Y. (2020). The pain of the social. The International Journal of Psychoanalysis, 101:6, 1219-1235, doi: 10.1080/00207578.2020.1821578.
- Liotti, G., & Farina, B. (2011). Sviluppi traumatici. Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa. Milano: Raffaello Cortina Editore.
- Shapiro, F. (1989). Efficacy of the eye movement desensitization procedure in the treatment of traumatic memories. Journal of Traumatic Stress Studies, 2, 199–223.
- Shapiro, F. (1995). Eye movement desensitization and reprocessing: Basic principles, protocols, and procedures. New York: Guilford Press.
- Vinkers, C. H., Geuze, E., van Rooij, S. J. H., Kennis, M., Schür, R. R., Nispeling, D. M., Smith, A. K., Nievergelt, C. M., Uddin, M., Rutten, B. P. F., Vermetten, E., & Boks, M. P. (2021). Successful treatment of post-traumatic stress disorder reverses DNA methylation marks. Molecular Psychiatry, 26(4), 1264-1271. doi: 10.1038/s41380-019-0549-3
- Yehuda, R., Daskalakis, N. P., Bierer, L. M., Bader, H. N., Klengel, T., Holsboer, F., & Binder, E. B. (2016). Holocaust Exposure Induced Intergenerational Effects on FKBP5 Methylation. Biological Psychiatry, 80(5), 372-80. doi: 10.1016/j.biopsych.2015.08.005.