Non siamo in un’epoca semplice e forse non ce ne sono mai state.
Sicuramente è un’epoca in cui si susseguono eventi e cambiamenti a una velocità nuova, mai vista prima; non si fa in tempo a gestire il senso di smarrimento per qualcosa che se ne ripresenta un’altra e si riparte.
I sentimenti di fede – in Dio, nella scienza, negli ideali politici, nella natura delle cose – che un tempo garantivano dei punti di ancoraggio ora vacillano. Il bisogno di una riflessione su ciò che dovrebbe essere un atteggiamento morale diventa per molti uno dei pochi punti di riferimento a cui aggrapparsi.
Come uomini iniziammo a porci interrogativi sulla natura della morale qualche millennio fa. Rami della filosofia e della teologia svilupparono pensieri molto articolati e sofisticati, spesso in contraddizione: l’uomo nasce buono e diventa cattivo o viceversa? Esiste una moralità come categoria innata o la si acquisisce? Viene prima la morale dell’individuo o quella di uno Stato che ne deve essere il principale promotore e garante? Il confronto tra posizioni differenti si è sempre sviluppato tramite ragionamenti.
Recentemente al dibattito sul tema si sono affiancate le neuroscienze, cercando di fare ciò che gli viene meglio: individuare le basi biologiche che consentirebbero la formazione di un senso morale e comprendere come queste si inseriscono nella storia evolutiva dell’uomo.
Quale morale
La sopravvivenza del genere umano ha richiesto regole necessarie a mantenere coeso il gruppo e lo sviluppo di emozioni – morali o socio-morali – che, per proteggere la collettività, anteponevano l’interesse e il benessere del gruppo a quello del singolo individuo. Una caratteristica fissata dalla nostra storia evolutiva e modificata dall’esperienza.
Di solito la morale viene intesa come un insieme di codici di valori e condotte che regolano il comportamento sociale.
Possiamo riferirci a valori morali caratteristici di ogni singola cultura, società, periodo storico (Morale Descrittiva) o individuare valori morali universali (Morale Normativa) che prescindono dalla società di appartenenza o del periodo storico.
La morale normativa sembra innata e poggia le basi su reti neurali presenti dalla nascita. E’ verosimile che i nostri antenati ominidi riuscissero ad apprendere regole – basate sul sistema premio/punizione – ed attribuire all’altro intenzioni, emozioni, aspettative. Gli scimpanzè manifestano competenze caratterizzate da altruismo e una specie di senso del giudizio, antenati della moralità umana.
Diversi autori ritengono che esista una intuizione morale tramite la quale valutazioni morali, giudizi o risposte a comportamenti (in atto o ipotetici) avvengono in maniera molto rapida e al di fuori di ogni ragionamento conscio.
Emozioni morali
Prendere “buone” decisioni morali necessita sia di capacità nel processare le emozioni che di componenti cognitive.
La Social Cognition in particolare sembra avere un ruolo molto importante dal momento che consente di prevedere e comprendere il comportamento dell’altro, riconoscere le condotte e gli intenti che potrebbero essere potenzialmente pericolosi o benefici, anticipare come gli altri potrebbero rispondere alle nostre azioni.
Le emozioni morali sono molto più complesse delle emozioni di base (gioia, tristezza, rabbia, paura, sorpresa, disgusto) e sono deputate alla salvaguardia del dell’interesse sociale oltre che dell’individuo.
Con questo scopo si sono sviluppate la fedeltà, la vergogna, l’imbarazzo, la gratitudine, il timore del giudizio altrui, l’orgoglio, l’avversione per un trattamento ingiusto.
Sono queste emozioni che ci consentono la comprensione delle conseguenze morali quando interagiamo con l’altro il cui fine ultimo è quello di preservare il buon nome in modo potersi garantire i benefici derivanti da una migliore cooperazione sociale.
Jonathan Haidt individua 4 tipologie di emozioni morali:
- Rivolte verso l’esterno: disprezzo, rabbia, disgusto
- Rivolte verso sé: vergogna, turbamento, senso di colpa
- Collegate alla sofferenza dell’altro: empatia
- Collegate all’apprezzamento dell’altro: gratitudine, elevazione, timore
La neuroetica
Con il termine neuroetica possiamo fare riferimento all’etica delle neuroscienze che si pone come obiettivo quello di discutere – con la collaborazione di filosofi, antropologi, psicologi etici e neuroscenziati – le questioni etiche derivanti dallo studio del cervello umano e dall’uso che è lecito fare di tale conoscenza.
La neuroscienza etica può essere intesa anche come neuroscienza dell’etica un ramo di ricerca delle scienze cognitive che si avvale di tecniche di neuroimaging per comprendere i substrati neurali che determinano i pensieri, le emozioni, la capacità di decision making, di giudizio e le condotte che sono parte costitutiva della sfera morale.
Per molto tempo il termine “morale” era sinonimo di spiritualità. Nel diciannovesimo secolo si iniziò a ipotizzare che alla base della condotta morale ci fosse una base biologica e l’occasione avvenne nel 1848.
Phineas Cage aveva 25 anni e lavorava nel New England alla costruzione di una nuova linea ferroviaria. Era un giovane con tante qualità e indubbie doti morali. Durante i lavori una carica esplosiva fece sì che una barra metallica gli trapassasse il cranio.
Al termine della convalescenza recuperò le capacità sensoriali (a parte la perdita della vista dall’occhio colpito) e motorie. Divenne però insofferente e poco collaborante, impiegava un linguaggio così osceno che veniva detto alle donne di allontanarsi in sua presenza. Perse le regole e le competenze sociali acquisite.
Era indubbio che la personalità e l’aderenza a una condotta morale derivasse da aree cerebrali normo-funzionanti.
Neurobiologia della morale
Le modificazioni del comportamento morale a seguito di lesioni cerebrali specifiche hanno spinto la ricerca a studiare le aree coinvolte, in tal modo è nata la neuroscienza cognitiva morale.
Le basi neuroanatomiche del senso morale sono state studiate prevalentemente con l’impiego della Risonanza Magnetica Funzionale, esame strumentale che consente di valutare la risposta neuronale del cervello rilevando le aree che si attivano durante l’esecuzione di un compito.
La corteccia prefrontale ventro-mediale
Tra le varie aree due hanno maggiormente attirato l’attenzione. Ad oggi sappiamo che la corteccia prefrontale ventro-mediale (VMPFC) partecipa all’attribuzione di valore morale ed emozionale ad eventi sociali anticipando le conseguenze del risultato.
Ha un ruolo nella costituzione della teoria della mente, dell’empatia e nel percepire correttamente le intenzioni altrui. Si tratta di un’area che viene attivata da prove che richiedono giudizi morali espliciti come ad esempio la risoluzione di un dilemma morale che presuppone da parte del soggetto esaminato la possibilità di arrecare danno a qualcuno.
Si tratta di un sistema neuronale filogeneticamente nuovo che inizia a comparire negli scimpanzè e nei mammiferi più evoluti. Il suo corretto funzionamento consente la differenziazione di un sé da ciò che è altro da sé e permette di comprendere le conseguenze che gli stati mentali ed emozionali di una persona possono avere su un’altra.
L’attivazione della VMPFC si osserva anche nella punizione altruistica osservata dai ricercatori in un esperimento che valutava i comportamenti dei partecipanti a un gioco sperimentale. Chi esercitava una punizione altruistica non lo faceva per un vantaggio personale ma per dare una lezione di altruismo a un altro giocatore troppo egoista; è considerata l’espressione del desiderio morale di giustizia ed equità.
La punizione altruistica è dipendente dal fatto che l’altro, a maggior ragione se gode di pessima reputazione, volontariamente non si attiene alle regole operando solo per interesse personale.
Le altre aree cerebrali
L’area Orbito Frontale e la corteccia ventrolaterale (OFC/VL) insieme all’insula anteriore e all’amigdala mettono in atto la punizione altruistica facendo insorgere sentimenti di avversione ed esclusione sociale quali rabbia, disprezzo, disgusto, indignazione.
Questa area ha un’azione di mediare le risposte avversive riguardanti la sfera sociale permettendo di modificare le risposte basate sul feedback. Esercita inoltre un controllo inibitorio sulle risposte automatiche ed impulsive coordinate dall’amigdala.
La Corteccia Prefrontale Dorso-Laterale (PFDLC) modula questo network che sarebbe alla base dei ragionamenti applicati di volta in volta alle questioni morali. Sono state osservate delle correlazioni tra riduzione della sostanza grigia a questo livello e un aumento delle condotte violente.
In conclusione
I dati finora rilevati fanno ritenere che alla base della morale normativa – quel senso morale innato che permette la coesione del gruppo – possano esserci delle basi neurali.
E’ verosimile che il senso morale derivi dalla integrazione e integrità di processi affettivi e cognitivi. Questi processi potrebbero essere compromessi dagli input e stimoli sempre più intensi e multiformi tipici di questa epoca.
Potrebbe venir compromessa la capacità di risonanza affettiva impedendo la formulazione di giudizi morali adeguati. Ma l’uomo non è solo biologia per cui, accanto allo sviluppo delle neuroscienze, è auspicabile che venga mantenuta sempre vigile l’attenzione ai fattori ambientali, ai messaggi che vengono veicolati sul modo di intendere i rapporti interpersonali e a tutti i fattori che possono influire sul senso morale.
Bibliografia
- Damasio AR: Emozione e coscienza. Adelphi 1999
- Haidt J; The moral emotions. Handbook of affective sciences 2003
- Marazziti et al: Esiste una Neurobiologia del comportamento morale? Giornale Italiano di Psicopatologia, 2011
- Moll J et al The neural correlatesof moral sensitivity. J Neurosc 2022
- Woodward J et al: Moral intuition: its neural substrates and normative significance. J of Physiology 2007