L’impatto psicologico della guerra sui sopravvissuti
Lungo la storia dell’uomo, l’esperienza della guerra è sempre stata presente. La guerra, oltre ad avere effetti devastanti sulla sopravvivenza e la sicurezza degli individui coinvolti, è un evento di enorme portata in termini di conseguenze psicologiche.
L’impatto psicologico della guerra è particolarmente evidente su soggetti altamente vulnerabili e immaturi come i bambini.
I predittori della traumaticità in termini psicologici di un fenomeno come la guerra sono l’esposizione ad una serie di fatti altamente stressanti per la persona coinvolta ed i suoi familiari. Tali eventi possono variare in termini di durata della minaccia, gravità e prossimità alla fonte della minaccia stessa.
In concreto, gli eventi altamente stressanti correlati al fenomeno della guerra, che possono coinvolgere direttamente un bambino o un giovane, sono:
- esposizione diretta a minacce per la sopravvivenza sua e di altri;
- esportazione in un altro paese;
- maltrattamenti o torture suoi o di altri;
- abbandono o perdita di figure significative;
- distruzione o perdita della propria abitazione o propri averi;
- perdita della libertà di istruzione e/o di culto religioso.
Inoltre, quando si parla di bambini, si deve anche considerare il rischio di traumatizzazione secondaria.
Il bambino o il ragazzo, infatti, subisce anche tutto l’impatto di vedere un genitore o una figura di riferimento traumatizzata, esperienza soverchiante e potenzialmente disorganizzante sul proprio sviluppo.
Possibili effetti psicologici della guerra nei bambini e negli adolescenti
Prima degli anni ‘50 del secolo scorso esistevano solo pochi studi relativi agli effetti dei traumi psicologici in infanzia. Alcune indagini svolte sui soggetti coinvolti nella Seconda Guerra Mondiale hanno registrato conseguenze dannose, in termini di benessere psicologico, a breve e a lungo termine.
In particolare, pur in mancanza di dati di incidenza attendibili, problemi di adattamento (es. delinquenza) sono stati riscontrati in gruppi di adolescenti nel secondo dopoguerra (Shields & Byan, 2002).
Più recentemente gli studi si sono concentrati sull’analisi del distress psicologico in bambini migranti e richiedenti asilo provenienti da paesi in conflitto.
In una ricerca condotta in gran Bretagna tra i bambini rifugiati, Fazel & Stein (2003) hanno rilevato che più di un quarto soffriva di un qualche disturbo psicologico con un’incidenza significativamente maggiore di un campione di soggetti inglesi.
Anche da ricerche condotte in altri paesi (Wiese & Burhorst, 2004, 2007) emerge un significativo livello di distress psicologico a seguito di esperienze traumatiche in bambini e adolescenti richiedenti asilo.
Il trauma nell’infanzia
Il trauma in infanzia può essere descritto come l’impatto mentale e psicologico di un evento esterno e improvviso o di una serie di eventi altamente stressanti che provocano una sensazione di impotenza nel bambino e che determinano una rottura delle abituali capacità di coping da lui messe in atto.
Dato che i soggetti in infanzia ed adolescenza si trovano in una fase di vita particolarmente vulnerabile, qualsiasi esperienza in cui il bambino sperimenta terrore, oppressione, dolore, o emozioni intense insieme ad una sensazione di impotenza, può essere considerato un trauma infantile.
Per spiegare il concetto di vulnerabiltà e suscettibilità dei bambini di fronte agli eventi traumatici Anthony, Chiland e Koupernic (1982) hanno usato l’immagine delle “tre bambole”. Una di vetro, la seconda di plastica e la terza di acciaio.
Se cadono, probabilmente la prima bambola si rompe, la seconda si potrebbe danneggiare con un graffio mentre la terza potrebbe restare illesa.
I fattori di rischio
Questa metafora pone l’accento sul concetto di vulnerabilità intrinseca all’individuo in base ai fattori personali e alla fase di sviluppo in cui si trova. L’infanzia infatti è un periodo critico in cui livelli di rischio psicopatologico – che variano nelle diverse fasi di vita – possono essere più elevati.
Uno o più eventi traumatici precoci possono andare ad impattare in modo massiccio sulla probabilità di sviluppare sintomi o disturbi, non solo nell’immediato, ma anche in seguito, durante l’adolescenza o l’età adulta.
Restando all’interno della metafora descritta, il danno della bambola dipende però anche da altre variabili: la superficie su cui si infrange e l’altezza della caduta.
Se consideriamo quindi questa immagine come una metafora dell’impatto del trauma, possiamo comprendere come i sintomi psicologici dopo un evento altamente stressante dipendono dall’interazione di una serie di variabili:
- la vulnerabilità intrinseca del bambino o del ragazzo (materiale della bambola)
- i fattori socio-familiari che potrebbero attutire la caduta (la superficie)
- le circostanze legate all’evento traumatico (altezza e forza dell’impatto).
A queste variabili se ne aggiungono anche altre quali la possibilità di accesso precoce alle cure dopo il trauma o il modo in cui l’evento viene considerato all’interno della cultura dell’individuo coinvolto (Moro, 2005).
Gli effetti dei traumi sui bambini
Le reazioni di un bambino esposto ad un evento o una serie di eventi altamente stressanti, sono diverse, a seconda della loro età evolutiva e dell’importanza emotiva dell’evento.
I bambini in genere hanno difficoltà a verbalizzare le loro emozioni ed i vissuti si manifestano spesso attraverso il comportamento non verbale.
Nei bambini le reazioni ad esperienze traumatiche spesso includono sogni e difficoltà nell’addormentamento.
Nei bambini più piccoli frequente emergono emergono timori abbandonici o altre paure come quella del buio. Mentre nei bambini più grandi più spesso si rilevano difficoltà di concentrazione ed ipervigilanza.
Ci possono essere anche manifestazioni psicosomatiche quali mal di testa, mal di stomaco, dolori muscolari ed enuresi notturne.
Le difficoltà sul piano affettivo comprendono depressione, pianto inconsolabile oppure al contrario distacco affettivo con comportamenti di isolamento, evitamento o ritiro sociale.
Altre reazioni tipiche al trauma in età evolutiva includono alterazioni all’immagine di sé e dell’interpretazione di segnali sociali, cambiamenti nelle abitudini alimentari o nei ritmi sonno/veglia alterati e comportamenti aggressivi o irritabilità immotivata (Wiese & Burhorst, 2004, 2007).
I traumi legati alla guerra
Nel caso particolare in cui l’evento traumatico sia un conflitto o una guerra, i bambini possono aver sperimentato la perdita dei genitori ed altre figure significative. Possono avere veri e propri disturbi dell’attaccamento con a comportamenti meno evoluti in termini di sviluppo: in particolare, alcuni bambini riducono l’esplorazione e perdono autonomie, perdita di interessi adeguati per età.
Si possono anche manifestare vissuti tipici della sindrome del sopravvissuto, quando i bambini sopravvivono al conflitto mentre amici e familiari ne sono rimasti vittime. Sviluppano sensi di colpa e sentimenti di profonda indegnità o pensieri di non meritare di essere felici.
Sintomi di Disturbo da Stress Post Traumatico nei bambini
Quando le variabili di cui abbiamo parlato sopra sono particolarmente sfavorevoli e scarsamente protettive, l’impatto traumatico sul bambino o sul ragazzo può portare a sviluppare una sintomatologia clinicamente significativa.
Nel nuovo DSM-5 (APA, 2013) la diagnosi dei Disturbi correlati a eventi traumatici e stressanti è l’unica a tenere in considerazione fra i criteri diagnostici l’eziologia traumatica.
Tra questi, il Disturbo reattivo dell’attaccamento, il Disturbo da impegno sociale disinibito, il Disturbo da stress post-traumatico, il Disturbo da stress acuto, i Disturbi dell’adattamento e altri due disturbi con altra o senza specificazione.
Tra tutti, il Disturbo da stress post-traumatico (DSPT) è caratterizzato dallo sviluppo di sintomi a seguito dell’esposizione – diretta o indiretta – a uno o più eventi traumatici (es., guerre, aggressioni fisiche, violenze o minacce sessuali, rapine, torture, incarcerazioni o rapimenti, disastri naturali o gravi incidenti).
Le manifestazioni cliniche possono essere variabili ed includere sintomi emotivi e comportamentali di diversa natura.
Il trauma viene spesso rivissuto tramite ricordi ricorrenti ed intrusivi oppure “flashbacks” o esperienze di rivivere l’episodio durante stati dissociativi.
La maggior parte delle volte il soggetto con DSPT evita gli stimoli associati al trauma (es. luoghi, persone, oggetti o anche solo parlare dell’evento).
La persona con DSPT sperimenta alterazioni del pensiero e delle emozioni associati all’evento, quali sentimenti di orrore, paura, vergogna o colpa oppure convinzioni negative su di sé, riduzione di interesse per le attività precedentemente gradite, senso di estraneità verso gli altri oppure distacco emotivo.
Gli individui con DSPT possono inoltre talvolta diventare facilmente irascibili o assumente comportamenti potenzialmente pericolosi o autolesivi; inoltre posso avere reattività eccessiva con risposte di allarme di fronte a stimoli anche banali o sviluppare sintomi dissociativi cronici (depersonalizzazione o derealizzazione). Infine, disturbi del sonno e difficoltà di concentrazione sono altresì frequenti.
I criteri diagnostici
Nel DSM -5 (APA, 2013) esistono criteri specifici per la diagnosi del Disturbo post traumatico nei bambini sotto i 6 anni. In particolare, è necessario che:
CRITERIO A – Ci sia stata un’esposizione ad un trauma, quale la morte reale o una minaccia di morte, grave lesione, oppure abuso sessuale (nel caso dei bambini anche esperienze sessuali inappropriate per la fase di sviluppo, senza che necessariamente siano violenze) facendo un’esperienza diretta (in prima persona) dell’evento traumatico oppure assistendo direttamente ad un trauma accaduto ad altri, in particolare ai caregiver primari oppure venire a conoscenza di un’esperienza traumatica di un membro della famiglia.
CRITERIO B – Presenza di uno dei seguenti sintomi intrusivi correlati all’evento traumatico o dopo l’evento traumatico:
- ricordi involontari e intrusivi dell’evento.
- Ricorrenti sogni spiacevoli correlati all’evento.
- Reazioni dissociative (es., flashback) in cui il bambino sente o agisce come se l’evento traumatico si stesse ripresentando, che possono portare anche, all’estremo, alla completa perdita di consapevolezza dell’ambiente circostante.
Nota: la riattualizzazione del trauma ed i ricordi intrusivi possono esprimersi attraverso il gioco.
- Intensa o prolungata sofferenza psicologica in risposta a trigger che simboleggiano o assomigliano al trauma.
- Elevata e reattività fisiologica in risposta a fattori che ricordano l’evento traumatico.
CRITERIO C – Uno o più dei seguenti sintomi che rappresentano persistente evitamento degli stimoli associati all’evento o alterazioni negativi di pensieri ed emozioni associati all’evento:
- Evitamento o tentativi di evitamento di attività, luoghi o fattori fisici che suscitano ricordi dell’evento.
- Evitamento o tentativi di evitamento di persone o situazioni sociali che suscitano ricordi dell’evento.
- Sostanziale aumento della frequenza di stati emotivi negativi (es. paura, orrore, rabbia, colpa o vergogna).
- Marcata riduzione di interesse o partecipazione ad attività significative, incluse il gioco.
- Comportamento sociale ritirato.
- Persistente riduzione nell’espressione di emozioni positive come felicità, soddisfazione o sentimenti d’amore.
CRITERIO D – Alterazioni dell’arousal e della reattività associati all’evento traumatico dopo l’evento traumatico come evidenziato da almeno due dei seguenti criteri:
- Comportamento irritabile ed esplosioni di rabbia (con minima o nessuna provocazione) tipicamente espressi nella forma di aggressione verbale o fisica nei confronti di persone o oggetti
- Esagerata risposta di allarme.
- Problemi di concentrazione.
- Difficoltà relative al sonno.
CRITERIO E – La durata delle alterazioni è superiore a 1 mese.
CRITERIO F – Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o compromissione nella relazione con genitori, fratelli, coetanei, altri familiari o nel comportamento scolastico.
CRITERIO G – Il disturbo non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza (es., farmaci o alcol) o a un’altra condizione medica.
Fornire supporto psicologico ai bambini traumatizzati dalla guerra
In questo momento storico particolare ci stiamo trovando a dover gestire l’accoglienza e la cura di molti bambini e ragazzi provenienti da zone del pianeta colpite da gravi conflitti e guerre in atto.
Questi giovani possono presentare risposte emotive traumatiche come quelle descritte in questo articolo oppure reazioni stressanti diverse dai classici sintomi del DSPT come comportamento disorganizzato, aggressività, sfiducia verso il prossimo e tendenza a male-interpretare i comportamenti altrui, ipervigilanza e diminuzione della capacità di concentrazione, fino a problemi di apprendimento.
Quando ci troviamo di fronte a bambini o adolescenti migranti e richiedenti asilo provenienti da altri Paesi, dobbiamo considerare anche il background socio-culturale di provenienza per valutare le reazioni emotive del bambino stesso.
Per fornire supporto a questi bambini alcune associazioni che si occupano di interventi nel campo della psicologia dell’emergenza (EMDR Europe Association, Navrat o.z.) hanno redatto delle linee guida di intervento.
Innanzitutto è fondamentale dare al bambino messaggi chiari, trasmettendo le informazioni in modo aperto e sincero, soprattutto riguardo quello che è successo, quello che sta succedendo e quello che succederà.
Le spiegazioni devono tenere conto ovviamente dell’età del bambino ed i genitori sono le persone più adatte per poterle fornire.
Questo talvolta non è possibile perché ci troviamo di fronte bambini che sono lontani dai propri familiari o li hanno persi.
Se un bambino è arrivato solo, spaventato, probabilmente confuso è bene comunicare in modo rassicurante e permettergli di esprimere le sue preoccupazioni, insicurezze e paure.
I più piccoli non devono avere i dettagli o essere sopraffatti con troppe informazioni. Basta spiegare loro il motivo per cui sono senza genitori (usando una storia o una fiaba) e per i ragazzi più grandi che possono raccogliere le informazioni da soli, verificatene le fonti e parlate con loro di ciò che sta accadendo e di come potrebbe evolvere.
È fondamentale anche non violare gli spazi intimi del bambino forzandolo a farsi abbracciare. Possiamo lasciargli il tempo di ambientarsi e conoscere il luogo o le persone attorno a lui.
In un primo momento, soprattutto per i più piccoli, possono essere rassicuranti anche peluche, giocattoli morbidi o coperte.
Deve esserci il tempo e la tranquillità necessaria per parlare. L’adulto deve ascoltare le domande del bambino e rispondere con sincerità, accettare e rispettare le emozioni espresse.
I bambini possono reagire in modo molto diverso: alcuni piangono o protestano oppure negano la realtà, altri dimostrano apatia e si comportano come se non avessero sentito quello che gli è stato appena spiegato, ma devono avere la possibilità di poter riprendere l’argomento con le loro domande e di ricevere risposte sincere.
Se non ci sono risposte, allora bisogna dirlo: i bambini questo lo capiscono.
Se si tace o si è vaghi riguardo all’evento, si lascia il bambino da solo con i suoi pensieri che possono alterare enormemente la realtà. Le fantasie negative possono inoltre provocare un senso di ansia e di terrore perché connesse anche all’idea errata del non poter chiedere o dire.
Talvolta è utile ricorrere al supporto di uno psicoterapeuta, soprattutto se le persone con cui vive il bambino non sono in grado di aiutarlo. Oppure quando le reazioni da stress del bambino, anziché essere di breve durata e risolversi in modo spontaneo col tempo, tendono ad assumere forme durature e invalidanti, come nel caso del Disturbo da stress post traumatico descritto.
In questo caso, è necessario rivolgersi ad un professionista che possa valutare un progetto di psicoterapia adatta all’età e al disturbo del bambino.
Bibliografia
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- Anthony, E. J., Chiland, C., & Koupernic, C. (Ed.). (1982). L’enfant dans ça famille, l’enfant vulnerable [The child in his family, the vulnerable child]. Paris: Presses Universitaires de France.
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- Shields, L. & Bryan, B. (200”). The effect of war on children: the children of Europe after World War II. International Nursing Review.
- Wiese, E. B. P., & Burhorst, I. (2004). Asiel zoekerkinderen en-adolescenten in behandeling bij Herlaarhof, centrum voor kinder-en jeugdpsychiatrie [Asylum seeker children and adolescents in treatment by Herlaarhof, centre for children and youth psychiatry]. De Ark, 13(3), 34-40.
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