Nictofobia, la paura del buio
La paura del buio o Nictofobia (dal greco nyctos, cioè notte e phobos ossia paura) è un tipo di fobia specifica riguardante un ambiente naturale.
La paura del buio spesso inizia durante l’infanzia ed è vista come una parte normale dello sviluppo. Viene considerata clinicamente significativa, e diventa quindi fobia, se l’esposizione al buio causa un estrema reazione di stress e/o la paura genera delle significative limitazioni nella vita di tutti i giorni.
Deve inoltre perdurare per un periodo di almeno sei mesi o più. Deve quindi risultare eccessiva, irrazionale e limitante.
Nonostante si possa pensare che il disturbo si presenti soltanto in età infantile, è stato dimostrato che tale fobia può essere ritrova anche in soggetti adolescenti e adulti.
La nictofobia, in effetti, può avere una spiegazione e un contenuto diverso da soggetto a soggetto: il buio di per sé è uno stimolo avversivo universalmente condiviso, poiché nasconde all’uomo informazioni riguardanti il proprio ambiente, il che viene letto come indice di pericolo.
Il contenuto della minaccia, tuttavia, può essere molto specifico da persona a persona (aggressioni, animali, entità soprannaturali, ecc.). Non è un caso, infatti, che la nictofobia si accompagni spesso ad altri disturbi d’ansia, come l’ansia da separazione o il disturbo d’ansia generalizzata. Risulta inoltre associato a disturbi del sonno in adolescenti e adulti.
Uno studio su studenti universitari con insonnia, ad esempio, ha scoperto che quasi la metà di essi aveva paura del buio. Coloro che avevano più problemi a dormire erano anche coloro che più facilmente erano spaventati dai rumori nell’oscurità.
Non solo, col tempo chi riusciva a dormire meglio si abituava ai rumori, mentre invece gli studenti che soffrivano di insonnia diventavano sempre più ansiosi e vigili alla minaccia (Carney et al., 2014). Quest’ultimi riportavano un alto tasso di disagio auto-riferito rispetto al buio.
Sintomi della paura del buio
I sintomi che si riscontrano con la nictofobia sono molto simili a quelli di altre fobie. Fobie diverse, infatti, condividono sintomi molto simili, ma si caratterizzano per stimoli d’innesco specifici.
Con la nictofobia ad esempio, i sintomi possono essere innescati dall’essere esposti all’oscurità, sia di giorno che di notte, o persino dal pensare a situazioni in cui ritrovarsi al buio.
Si possono distinguere sintomi fisici, cognitivi e comportamentali.
Sintomi fisiologici legati all’ansia
- aumento della frequenza cardiaca
- sudorazione
- sensazione di malessere (nausea, mal di testa e diarrea)
- problemi di respirazione
- senso di oppressione o dolore al petto
- sensazioni di tremore o formicolio
- vertigini
- vampate di calore o di freddo
Sintomi cognitivi
- percezione intensa di minaccia imminente
- pensare di perdere il controllo o sentirsi pazzo
- pensare di morire o perdere conoscenza
- sentirsi impotenti
Sintomi comportamentali
- diventare nervoso e irrequieto in qualsiasi ambiente poco illuminato
- essere riluttante ad uscire la sera
- bisogno di dormire con una fonte di luce
- tendenza a scappare da stanze buie
- arrabbiarsi o mettersi sulla difensiva se qualcuno cerca di incoraggiarti a trascorrere del tempo al buio
- rimanere in casa durante le ore notturne
- difficoltà ad addormentarsi o riaddormentarsi in seguito a risvegli notturni
Neurobiologia della nictofobia
Le fobie specifiche sono paure estreme e persistenti di determinati oggetti, situazioni, attività o persone. Chi ne soffre si impegna duramente per evitare i suoi stimoli fobici, anche se sa che non c’è minaccia o pericolo, si sente incapace di frenare la propria paura irrazionale.
È stato suggerito che la strutturazione di una fobia specifica derivata da un’esperienza avversa, sia dovuta al condizionamento classico, mentre il suo mantenimento è dovuto al condizionamento operante. Questo, a sua volta, rinforza i comportamenti di evitamento (Tillfors 2004).
Il mantenimento di una fobia specifica esperienziale, può essere spiegato tramite l’incapacità di ottenere una riduzione della risposta condizionata in occorrenza di ripetute presentazioni di uno stimolo condizionato.
La fobia specifica non esperienziale o innata invece, è causata e attivata da stimoli che suscitano paura senza un precedente apprendimento associativo, diretto o indiretto. I fattori genetici, familiari, ambientali o di sviluppo giocano un ruolo importante nello sviluppo di questo tipo di fobia specifica. La paura dell’oscurità ne è un esempio.
Da un punto di vista evoluzionistico, infatti, tale timore può essere stato funzionale al monitoraggio della minaccia poiché, allora come oggi, molti predatori cacciano di notte.
La sensibilizzazione al buio
La sensibilizzazione è una forma di apprendimento non associativo, che si esprime con reazioni emotive esagerate a stimoli specifici (ad esempio, la nictofobia, è caratterizzata da paura sensibilizzata durante l’esposizione all’oscurità o durante l’anticipazione alla sua esposizione).
Essa è funzionalmente utile alla rilevazione delle minacce. A livello cerebrale, è un aumento specifico dello stimolo delle risposte neuronali. La fobia non esperienziale, si pensa possa essere supportata da disfunzioni nei circuiti della paura “apprendimento-indipendente “ (cioè circuiti che includono l’amigdala e guidano il comportamento difensivo senza apprendimento precedente) (Rosen et al. 2015).
Ad esempio, l’oscurità può attivare l’amigdala, tuttavia, questa attivazione può essere esagerata (sensibilizzata) in chi soffre di nictofobia, a causa di cambiamenti patologici nella soglia di eccitabilità dei circuiti della paura.
Un’altra caratteristica della fobia del buio, come di altre fobie specifiche, è la mancanza di assuefazione: l’abitudine è anch’essa una forma di apprendimento non associativo, che si manifesta con reazioni emotive sempre più ridotte a stimoli presentati ripetutamente.
Può servire allo scopo di proteggere il cervello dall’essere inondato da eccessive e ripetitive informazioni che così, con il tempo, diventano irrilevanti. Anche la paura del buio, infatti, viene spesso persa nel tempo attraverso l’esposizione ripetuta all’oscurità, accompagnata da un decremento costante dell’attivazione dell’amigdala.
In altre parole, l’eccessiva attività dell’amigdala può giocare un ruolo molto importante nello strutturarsi di una fobia specifica non esperienziale o innata, inducendo una sensibilizzazione alla paura. Allo stesso tempo, un deficit di abituazione dell’amigdala, potrebbe essere responsabile della persistenza della paura nei pazienti con questo tipo di fobie (Garcia, 2017).
Trattamento della paura del buio
Il tasso di successo del trattamento per fobie specifiche come la nictofobia, ottenuto attraverso tecniche di terapia cognitivo-comportamentale (CBT), è solitamente molto elevato.
L’approccio CBT porta i pazienti ad abituarsi ad affrontare le loro paure lavorando sui contenuti e sui processi cognitivi delle manifestazioni ansiose. Il processo di cambiamento della prospettiva cognitiva risulta indispensabile per il trattamento della nictofobia.
In seguito, la modificazione a livello comportamentale, come manifestazione del cambiamento cognitivo, diventa il punto di riferimento per il successo di questa terapia. Nel processo terapeutico, il paziente è invitato ad agire nell’ambiente reale per affrontare le proprie paure.
L’approccio mira a modificare le percezioni dei pazienti riguardo all’effettiva pericolosità delle situazioni attivanti, in questo caso il buio, e a confrontarsi con l’oggetto o la situazione che innesca la sua paura.
Le esposizioni alle situazioni temute, e quindi la desensibilizzazione, vengono attuate in modo graduale e calibrate sulle risorse del paziente, calcolate volta per volta. Esponendo le persone alle loro paure ripetutamente e con criterio, da livelli più lievi a quelli più elevati di disagio soggettivo, si ottiene un decremento dell’attivazione ansiosa e panicosa.
Trattamento nei bambini
Tale trattamento viene utilizzato anche per i minori, soggetti molto suscettibili a tale tipo di fobie. In questi casi il percorso varia da bambino a bambino a seconda del problema che accompagna la paura del buio.
In generale, i bambini dovrebbero esporsi gradualmente all’oscurità. Ad esempio, spesso è utile iniziare con l’esposizione a una stanza buia durante il giorno, spostando gradualmente le esposizioni sempre più vicino al momento di coricarsi.
Inoltre, le esposizioni possono essere eseguite prima con un genitore presente e via via allontanandolo gradualmente sempre più dalla stanza del bambino.
In concomitanza con le esposizioni, i bambini devono imparare a sfidare i pensieri ansiosi che sperimentano nell’oscurità: se temono che un ladro entri in casa o se temono i fantasmi o altre creature inventate, possono imparare a “rispondere” a tali pensieri cercando di metterli in discussione o auto-rassicurandosi.
L’intento è di cambiare la loro percezione minacciosa dell’oscurità, insegnando loro ad affrontare tali situazioni, come ripetendosi: “è buio, ma sono al sicuro”.
Molti bambini che temono il buio hanno inoltre bisogno di apprendere buone strategie per addormentarsi e rimanere addormentati in modo indipendente. Insegnare queste strategie è un’altra parte integrante del trattamento: ad esempio, possono essere educati all’uso di strategie di rilassamento con immagini positive, rilassamento muscolare progressivo ed esercizi di respirazione come mezzi per calmarsi (Milosevic & McCabe, 2015).
L’esposizione graduale e la desensibilizzazione della paura, accompagnata da tecniche cognitive, rimane il percorso maggiormente preferibile ed efficace per il trattamento delle fobie specifiche (Hofmann & Smits, 2008; Norton & Price, 2007).
Come superare i limiti delle terapie tradizionali
Talvolta risulta però difficile, se non impossibile, poter usufruire dell’ambiente per esercitarsi. Così, insieme alle esposizioni in immaginazione, vengono studiate sempre nuove tecniche e modalità di fronteggiare le proprie paure.
Lo sviluppo della tecnologia, inclusa la realtà virtuale (VR), è sempre più utilizzata e integrata, all’interno degli approcci psicoterapeutici tradizionali, per facilitare e ottimizzare i percorsi di cambiamento. La realtà virtuale è una simulazione computerizzata, visiva o ambientale, che genera sensazioni esperienziali sempre più realistiche.
A differenza degli approcci terapeutici tradizionali, la realtà virtuale può simulare situazioni problematiche difficili da realizzare nella realtà. Con lo stesso paradigma delle esposizioni in vivo, la simulazione di stimoli fobici, può essere introdotta gradualmente per aiutare le persone a superare i loro disturbi.
Gli approcci terapeutici VR hanno riportato risultati incoraggianti nel miglioramento delle condizioni dei pazienti trattati, sia dal punto di vista cognitivo che fisiologico (Pereira et al., 2020).
L’efficacia dei trattamenti, riguardo il criterio temporale, può essere ulteriormente migliorata grazie a “terapie condensate”, attraverso l’uso di applicazioni tecnologiche come la VR (Nimnual & Yossatorn, 2019).
Bibliografia
- Carney, C.E., Moss, T.G., Atwood, M.E., Crowe, B.M., and Andrews , A.J. (2014). Are Poor Sleepers Afraid of the Dark? A Preliminary Investigation, Journal of Experimental Psychopathology JEP Volume 5, Issue 1, 2-13
- Hofmann, S. G., & Smits, J. A. (2008). Cognitive-behavioral therapy for adult anxiety disorders: a meta-analysis of randomized placebo-controlled trials. Journal of Clinical Psychiatry, 69, 621–632.
- Milosevic, I., & McCabe, R.E. (2015). Phobias: The Psychology of Irrational Fear: The Psychology of Irrational Fear, ABC-CLIO
- Nimnual, R., & Yossatorn, Y. (2019). Therapeutic Virtual Reality for Nyctophobic Disorder. ICVARS ’19: Proceedings of the 2019 3rd International Conference on Virtual and Augmented Reality Simulations, Pages 11–15
- Norton, P. J., & Price E. C. (2007). A meta-analytic review of adult cognitive-behavioral treatment outcome across the anxiety disorders. Journal of Nervous and Mental Disease, 195:521–531.
- Pereira, J. S., Faêda, L. M. , and Coelho, A. M. (2020) “Evolution of VRET to Assist in the Treatment of Phobias: a systematic review,” 2020 22nd Symposium on Virtual and Augmented Reality (SVR), pp. 386-390.
- Tillfors, M. (2004). Why do some individuals develop social phobia? A review with emphasis on the neurobiological influences. Nord J Psychiatry 58: 267–276.