La confusione inferenziale
Quando parliamo di un determinato disturbo psicologico in ambito cognitivo-comportamentale il focus di analisi è classicamente rivolto ai meccanismi cognitivi o metacognitivi e comportamentali coinvolti nell’esordio e nel mantenimento dei sintomi manifestati dalla persona.
Tuttavia, negli ultimi decenni, recuperando paradigmi afferenti dalla neuropsicologia, sono state condotte un numero crescente di ricerche volte ad identificare, nei disturbi mentali, la presenza di deficit nell’elaborazione dell’informazione e nelle principali funzioni esecutive.
Tra queste disfunzioni cognitive si colloca la confusione inferenziale, descritta come un deficit specifico caratterizzato dalla difficoltà nel discriminare tra immagini mentali e eventi reali percepiti.
In particolare, la confusione inferenziale sarebbe una modalità di elaborazione delle informazioni caratterizzata da una tendenza a riporre maggiore fiducia verso le proprie immagini mentali o pensieri a discapito dei dati afferenti dai propri sensi.
È evidente come la confusione inferenziale sia un deficit che può presentarsi in più quadri psicopatologici ma alcuni autori hanno esaminato in modo specifico il ruolo della confusione inferenziale nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo (Aardema e O’Connor, 2003) al fine di spiegare la tendenza del paziente affetto da DOC a dubitare ripetutamente di ciò che percepisce per dare invece più credito a ciò che immagina o pensa.
Disturbo Ossessivo-Compulsivo e confusione inferenziale
Il Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) è un disturbo mentale caratterizzato dalla presenza di pensieri intrusivi ricorrenti (ossessioni) e comportamenti ripetitivi e/o ritualizzati (compulsioni) messi in atto per annullare o ridurre il disagio associato alle ossessioni.
Tra le diverse forme che il DOC può assumere, una delle più comuni è quella caratterizzata da dubbi ricorsivi legati al timore che possano accadere o che siano accaduti eventi terribili che il soggetto stesso, per disattenzione o negligenza, potrebbe provocare o non riuscire del tutto ad evitare.
Facciamo un tipico esempio pensando al caso di Roberto che potremmo definire un classico checker ossessivo-compulsivo. Roberto è costantemente assillato da preoccupazioni relative al poter lasciare aperte finestre o porte con il rischio che la casa venga svaligiata dai ladri.
Di conseguenza, ogni volta che si trova a dover uscire dalla propria abitazione, per cercare di contenere l’ansia e la paura indotta da queste ossessioni, si dilunga in controlli di aver effettivamente chiuso bene porte, avvolgibili e finestre.
Nonostante ponga molta attenzione mentre esegue l’azione necessaria a tranquillizzarsi, poco dopo il dubbio si riaffaccia tormentandolo di nuovo: Roberto quindi torna indietro a controllare nuovamente sia guardando attentamente che la finestra sia serrata sia tentando più volte di abbassare la maniglia del portone o girare la chiave nella toppa per verificarne la corretta chiusura.
Basandosi su casi come questo alcuni autori (Aardema e O’Connor, 2003; Aardema e collaboratori, 2006) hanno ipotizzato che la confusione inferenziale possa rivestire un ruolo nella tendenza di questi soggetti ad affidarsi maggiormente ai propri scenari mentali immaginati piuttosto che alle informazioni derivanti dai propri sensi (vista e tatto, nel caso di Roberto).
Gli stessi autori hanno evidenziato inoltre come questo deficit fosse, nei pazienti ossessivi presi in esame, indipendente da altri meccanismi cognitivi noti quali la fusione pensiero realtà e la sovrastima della minaccia (Aardema e collaboratori 2006).
Le ricerche sulla confusione inferenziale nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo si collocano all’interno di un più ampio numero di studi relativi all’associazione tra il disturbo ossessivo-compulsivo e deficit cognitivi in generale.
I pazienti ossessivi mostrano disfunzioni mnestiche ed esecutive ed è opinione comune che tali disfunzioni possano svolgere un ruolo importante nelle alterazioni di memoria che i pazienti tentano di compensare con strategie organizzative non efficaci (Déttore, 2011).
Tuttavia questo paradigma è stato messo in discussione da una serie di osservazioni empiriche e cliniche (Fadda et al., 2016). Con particolare riferimento alla confusione inferenziale, uno studio di Gangemi, Mancini e Dar (2015) ha parzialmente disconfermato l’ipotesi che essa possa spiegare il meccanismo per il quale i soggetti come Roberto dubitano che la porta di casa sia chiusa perseverando poi in controlli (checking) di stampo compulsivo.
Gli autori, attraverso una procedura sperimentale, hanno infatti dimostrato come i pazienti ossessivi tendono a dare più credito alle informazioni a conferma della propria paura, indipendentemente che essere derivino dai propri sensi o dalle proprie rappresentazioni mentali.
Sarebbe quindi la valutazione dell’informazione (pensiero o percezione) come “pericolosa” a guidare il soggetto nella tendenza a dare più credito o valore a quel dato a discapito di un altro.
Dissociazione e confusione inferenziale nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo
Secondo alcuni autori (Liotti e Costantini 2011), la confusione inferenziale si disporrebbe all’interno di un continuum di gravità in cui a livello meno grave si collocano i deficit metacognitivo di differenziazione tra realtà e rappresentazioni interne mentre al polo opposto di disfunzione estrema si verificano casi di fallimento delle funzioni integratrici della coscienza e ne deriva una vera e propria convinzione che le proprie rappresentazioni siano reali.
In questa manifestazione più grave la confusione inferenziale presenta degli aspetti in comune con la dissociazione (Liotti e Costantini , 2011).
Dati di ricerca indicano la presenza di sintomi di dissociazione patologica (disgregazione delle funzioni di memoria, coscienza, identità e percezione) in alcuni sottogruppi di disturbo ossessivo-compulsivo.
In particolare, alcuni studi controllati hanno evidenziato sintomi di derealizzazione, depersonalizzazione e amnesia dissociativa in tali soggetti clinici, soprattutto nei checkers (es., Ecker e Engelkamp, 1995; Grabe e collaboratori, 1999; Rufer e collaboratori, 2006).
Nonostante una parte dei deficit integrativi di memoria sia stato spiegato come conseguenza, anziché come causa, dell’assorbimento nei rituali ripetitivi di neutralizzazione (es., Hermans, 2003, 2008), resta comunque evidente che esistono casi in cui esperienze francamente dissociative di depersonalizzazione e derealizzazione precedono la comparsa dei sintomi ossessivi e non possono essere quindi attribuibili ad un effetto secondario dei rituali (Liotti e Costantini, 2011).
Alla luce delle precedenti ipotesi ancora controverse, uno studio italiano (Torniai, Pozza e Dèttore, 2017) condotto su un campione clinico composto da 60 soggetti ossessivi ha indagato gli effetti di interazione tra dissociazione e confusione inferenziale sullo sviluppo dei sintomi ossessivo-compulsivi.
I risultati hanno evidenziato una correlazione significativa tra confusione inferenziale e depersonalizzazione/derealizzazione e tra confusione inferenziale e amnesia dissociativa.
In particolare, la variabile della confusione inferenziale è risultata essere un moderatore della relazione tra sintomi di depersonalizzazione/derealizzazione e ossessivo-compulsivi. L’effetto moderatore della confusione inferenziale sussisteva anche nel rapporto tra amnesia dissociativa e sintomi ossessivo-compulsivi, ma solo per i soggetti con sintomi afferenti al sottotipo caratterizzato da insufficiente controllo dei pensieri.
Ricadute terapeutiche
Tali risultati indicano come sia importante considerare anche sintomi di dissociazione e indici di confusione inferenziale nell’ambito del trattamento del DOC.
Tra le possibilità, l’Inference based approach (O’Connor e collaboratori, 2005) potrebbe essere una possibilità di integrazione nel trattamento del Disturbo Ossessivo-Compulsivo basato sui classici protocolli evidence based di psicoterapia cognitivo-comportamentale.
Esistono infatti dati che suggeriscono un’associazione tra presenza di sintomi dissociativi e persistenza di sintomi ossessivo compulsivi gravi dopo interventi di terapia cognitivo-comportamentale.
In particolare, i soggetti con prognosi significativamente peggiore erano quelli con sintomi più elevati di dissociazione all’inizio del trattamento (punteggi più alti alla scala DES) rispetto a coloro che rispondevano positivamente al trattamento e questa differenza restava significativa anche controllando variabili come la depressione, altre comorbilità ed il tipo di trattamento farmacologico utilizzato (Rufer et al., 2006).
Questo potrebbe suggerire come i classici interventi cognitivo-comportamentali per la sintomatologia del disturbo ossessivo-compulsivo potrebbero risultare insufficienti per i quadri complicati dalla presenza di sintomi dissociativi patologici.
Riferimenti bibliografici
- Aardema, F., O’Connor, K. (2003). Seeing white bears that are not there:Inference processes in obsessions. Journal of Cognitive Psychotherapy, 17, 23-37.
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- Dèttore, D. (2011). Doc ed errori di pensiero. Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale. Volume 17, Numero 3, p.381-394.
- Ecker, W., Engelkamp, J. (1995). Memory for actions in obsessive compulsive disotrder. Behavioural and Cognitive Psychotherapy, 23, 349-371.
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- Torniai, S., Pozza, A. e Dettore, D. (2017). Confusione inferenziale ed esperienze dissociative nel DOC. Presentazione al forum di Psicoterapia e Ricerca delle scuole di specializzazione di Studi Cognitivi, Riccione, 5-6 Maggio 2017.