Una bambina chiamata Riccioli D’Oro scopre una casetta, mentre cammina nella foresta. Si guarda intorno e si accorge che nella casa vivono tre orsi: Papà orso, grosso grosso; Mamma orsa, grossa la metà; Orsetto, piccolo piccolo.
Entra nella casetta e trova una tavola, apparecchiata per tre. Ci sono una ciotola grossa grossa, una ciotola grossa la metà ed una ciotola piccola piccola.
Riccioli d’oro ha tanta fame, così assaggia prima la minestra della ciotola di papà orso, ma ahimè, è troppo calda. Passa a quella di mamma orsa, ma è troppo fredda; infine, prova quella del piccolo orso e la trova giusta per lei, così esclama, “Oh, questa si che va bene!”.
Poi, entra in un’altra stanza e vede tre poltrone: una grossa grossa, una grossa la metà ed una piccola piccola. Riccioli D’Oro si siede nella prima, quella grossa grossa, “oh no, è troppo dura”; allora prova quella grossa la metà, ma “oh no, è troppo molle”. Infine si butta su quella piccola piccola .. “oh si, questa va proprio bene!”…
Conoscete il resto della storia, giusto?
Riccioli D’Oro conosce bene la propria “finestra di tolleranza” (Siegel, 2013). La condizione di sopportabilità all’interno della quale possiamo sentirci comodi, a nostro agio, concentrati ed in grado di rispondere e reagire alle situazioni con apertura e flessibilità. Non troppo caldo, non troppo freddo, ma proprio giusto per me!
Riccioli D’Oro, il suo sistema nervoso e la sua finestra di tolleranza offrono uno sguardo sulla vita in famiglia, sull’ambiente e sulle dinamiche relazionali che, nell’insieme, concorrono a formare sia la struttura che le funzioni cerebrali.
Sin dalla nascita, qualsiasi cambiamento di stato (fame, freddo, sonno, dolore) può generare tensione in un bambino. La regolazione di questi stati dipende dalla risposta, adeguata e sintonizzata, da parte dell’adulto che si prende cura di lui.
Chi lo assiste è lo strumento di regolazione dello stress e quindi la chiave del suo senso di sicurezza (Toscani 2019); la qualità della relazione caregiver-bambino ha un ruolo decisivo nella costruzione di una risposta adeguata e flessibile alle condizioni di stress.
La regolazione emotiva da parte del genitore
Un genitore sicuro, che riesce a calmare il suo bambino, a riconoscere i suoi segnali, a rispondere in modo coerente ai suoi bisogni, magari modulando la voce con tono basso e rassicurante quando il piccolo ha bisogno di calma o con toni alti quando il bambino ha bisogno di stimoli, è capace di avviare una danza interattiva che rafforza il legame e permette uno sviluppo ottimale della personalità del bambino, che non sarà ostacolata dagli effetti della disregolazione emotiva.
All’inizio il bambino dipenderà dalla propria figura di attaccamento per raggiungere questa regolazione. Successivamente, una volta interiorizzate le strategie di regolazione fornite dal genitore, sarà capace di acquisire prima una regolazione degli stati biologici (sonno, veglia, alimentazione) e poi di quelli affettivi ed emotivi.
La mancanza di una azione regolativa svolta dai genitori, oltre ad essere una situazione, di per sé, traumatica, conduce il bambino ad utilizzare forme di regolazione improprie (se rigide e persistenti), quali ad esempio l’autoconsolazione, ovvero l’isolamento e la chiusura in se’ stesso, evitando di richiedere consolazione all’altro.
Un buon indizio di salute è dato dalla possibilità di usufruire di forme complementari di autoregolazione in modo flessibile: una regolazione di tipo interattivo che comporta la possibilità di modulare, nella relazione con l’altro, il proprio stato di attivazione e disagio percepiti, oppure una regolazione di tipo autonomo, ovvero la possibilità regolarsi in modo indipendente dagli altri.
La disregolazione emotiva
Si parla di disregolazione emotiva quando viene meno la capacità di regolare le emozioni, organizzare l’esperienza e le risposte comportamentali; le emozioni vengono vissute in modo eccessivo, con livelli di attivazione al di sopra dei limiti della finestra di tolleranza (“iperarousal”, con attivazione del sistema ortosimpatico) oppure al di sotto dei limiti della finestra di tolleranza (“ipoarousal”, con attivazione del sistema parasimpatico).
Come si manifesta un “arousal” alto, ovvero uno stato di forte attivazione? Spesso in un impulso a correre, a volersene andare, ad attaccare verbalmente … può dar luogo a pensieri ossessivi, ripetitivi ed ancora, un senso di allarme, inquietudine, tremore, tensione, difficoltà a concentrarsi … anche paura, rabbia e panico possono manifestarsi.
Ed “arousal” basso, ovvero uno stato di bassa attivazione? Può manifestarsi attraverso senso di debolezza o impotenza, mancanza di forza, lentezza nei movimenti, sonnolenza, senso di disconnessione … passività e senso di vuoto, noia, fino alla disperazione ed al totale scoramento.
Un livello di attivazione emotivo e fisiologico garantiscono al bambino le condizioni ottimali (zona di benessere) per un buon funzionamento generale e per l’ingaggio sociale.
All’interno della finestra di tolleranza, il bambino può sperimentare rilassamento muscolare, respiro quieto, battito cardiaco regolare, lucidità mentale, calma e disponibilità alle interazioni sociali, gioia, conforto, entusiasmo. (Verardo, Lauretti, 2020).
Il ruolo del trauma
Il trauma è conseguenza di un evento sopraffacente, che getta il bambino in uno stato di allarme costante, tale da comprometterne il senso di sicurezza. Condizioni prolungate di stress possono ridurre la finestra di tolleranza, portando il bambino a produrre risposte disregolate, anche in condizioni di sicurezza.
Oltre all’aspetto emotivo, la disregolazione implica conseguenze anche su ritmi di base come il sonno (con difficoltà a riconoscere il bisogno di dormire e il senso di stanchezza), l’alimentazione (con la comparsa di coliche, rifiuto/richiesta eccessiva di cibo, difficoltà a riconoscere il senso di fame e sazietà, un livello generale di energia eccessivo o il suo contrario, con aggressività o vivacità smisurate).
La disregolazione emotiva è sempre una esperienza traumatica per il bambino.
Krystel (2010) afferma che “l’aspetto forse più cruciale e difficile dell’essere madri consiste nel permettere al bambino di sopportare tensioni affettive sempre più intense, riuscendo però ad intervenire per confortarlo prima che le emozioni diventino intollerabili.”
L’obiettivo è quello di imparare a modulare le emozioni intense, sia quelle piacevoli che quelle spiacevoli, consentendo un ampliamento della finestra di tolleranza, mediato dall’esperienza di relazioni stabili e sicure per il bambino.
Per esercitare questa funzione regolatoria, il genitore deve essere capace di sintonizzarsi, rispecchiare lo stato di tensione del bambino e non esserne sommerso (Fonagy et al., 1995).
Gestire la disregolazione del bambino
Alcuni consigli per gestire le crisi di disregolazione emotiva:
- sviluppare una presenza calma e rassicurante;
- creare uno spazio intorno al bambino dove non possa farsi del male;
- rimanere vicino al bambino;
- modulare la voce, guardare negli occhi il bambino e, se possibile, spiegargli che è un momento delicato e che si parlerà con lui non appena tornerà la calma: “Adesso è proprio un brutto momento, ne parleremo dopo”;
- rassicurare il bambino, sintonizzarsi con lui e cercare di rispondere al suo bisogno;
- una volta che si percepisce che il bambino è più presente a sè stesso, ci si può rivolgere a lui con gentilezza, avvicinarsi e rassicurarlo del fatto che è motivo di gioia che adesso lui si senta meglio. (Verardo 2016)
Nella Somatic Experiencing viene utilizzata l’immagine del pendolo, che racchiude in sè l’idea dell’innato ritmo naturale di contrazione ed espansione che ci porta avanti ed indietro tra sensazioni, emozioni, immagini piacevoli e spiacevoli.
Le emozioni e i sentimenti difficili sono solitamente associati a traumi e stress, laddove viene meno la capacità di resiliere e prevale un senso di sopraffazione e impotenza.
A questa condizione deve seguire l’altro estremo del pendolo, piacere e rilassamento, in modo tale che si crei un equilibrio sopportabile tra le due condizioni.
L’oscillazione del pendolo può essere letta come una metafora che trasmette al bambino l’idea che, vissuta una brutta esperienza, questa, presto passerà.
Favole del bosco, l’esperienza della ciclicità
“Una volta, tanti e tanti inverni fa, viveva un bosco, da qualche parte di questo mondo, o forse di un altro, dove non succedeva assolutamente niente di particolare. Era un bosco come tanti altri, che aveva i suoi ritmi naturali, come tutti i normali boschi di questa terra; dopo la luce del giorno veniva il buio della notte e poi ancora la luce del giorno; l’erba e le foglie spuntavano in primavera, fiorivano con l’estate, appassivano e cadevano in autunno, mentre le piante in inverno si riposavano per prepararsi a rinascere in primavera, e così via.
Gli animali del bosco nascevano, imparavano a crescere con l’aiuto dei più grandi, poi diventavano grandi a loro volta e mettevano al mondo altri cuccioli, come era sempre avvenuto, stagione dopo stagione… e da millenni la vita andava avanti così, fatta di ritmi e di cicli. Ogni cosa aveva i suoi e, soprattutto, sapeva di averli e li riteneva gli unici possibili…” (Marcoli, 2015).
Bibliografia
- Fonagy, P. (2005). Regolazione affettiva. Mentalizzazione e sviluppo del sé.
- Kline, M., Levine P.A. (2009). Il trauma visto da un bambino. Pronto soccorso emotivo per l’infanzia e l’adolescenza.
- Kurtz, R., (2007). Body-centered psychotherapy. The Hakomi Method.
- Lauretti, G., Verardo. A., (2020). Riparare il trauma infantile. Manuale teorico clinico d’integrazione tra sistemi motivazionali ed EMDR.
- Marcoli, A. (2015). Il bambino nascosto. Favole per capire la psicologia nostra e dei nostri figli.
- Siegel, D.J. (2013). La mente relazionale: neurobiologia dell’esperienza interpersonale.