Nelle prime fasi di epidemia da coronavirus (COVID-19), c’è stata molta incertezza sulla natura della malattia, sulla sua diffusione e sulla sua portata.
Questo ha creato un forte disagio emotivo anche tra coloro che non sono stati direttamente esposti alla malattia, poiché un’emergenza di salute pubblica come l’attuale può impattare a vari livelli sull’equilibrio psicologico degli individui.
Quando è stato evidente che si trattava di una pandemia, numerose Autorità Governative, a livello mondiale, hanno dovuto porre in atto provvedimenti senza precedenti per frenare la diffusione del virus. Ciò però non ha consentito di evitare il rischio di ricadute avverse anche in ambito psicopatologico.
Nello specifico, si possono identificare diversi elementi vissuti come generatori di ansia e pericolo in seguito all’epidemia da COVID-19:
- la scarsa conoscenza delle caratteristiche di questa forma virale e quindi la difficoltà sia di elaborare adeguate strategie contro il contagio sia di prevedere con sufficiente attendibilità l’evoluzione della malattia nelle persone affette;
- la carenze di risorse da parte del Servizio Sanitario Nazionale sia per ciò che riguarda il personale e le strutture di ricovero sia per la disponibilità di test diagnostici e dispositivi di protezione individuali;
- l’imposizione di misure straordinarie di sanità pubblica che violano le libertà personali (confinamento in casa o comunque limitazione forzata degli spostamenti, obbligo di distanziazione sociale, ecc.);
- la necessità di interrompere le attività lavorative in assenza di una pianificazione a breve o a lungo termine, con il conseguente rischio di perdite finanziarie ingenti;
- la diffusione da parte delle varie autorità pubbliche di messaggi talvolta contrastanti gli uni con gli altri, tali da ingenerare l’impressione di un cattivo coordinamento tra le Agenzie sanitarie e i livelli governativi coinvolti;
- la separazione da altri congiunti se ubicati in luoghi temporaneamente non raggiungibili;
- la consapevolezza, per taluni soggetti, di appartenere a gruppi a maggior rischio di complicazioni post infettive. Anziani, persone con funzione immunitaria compromessa, operatori sanitari, persone che vivono in contesti congregati, portatori di preesistenti problemi medici, psichiatrici o di consumo di sostanze;
- la diminuzione dell’accesso al sostegno comunitario e religioso, con conseguente ulteriore rinforzo del senso di isolamento e di perdita di punti di sostegno;
- gli inviti provenienti dalle Autorità sanitarie a non recarsi presso gli ambulatori medici se non per motivi urgenti, scoraggiando così gli accessi anche ai Servizi Psichiatrici Territoriali. Riducendo quindi la possibilità di ricevere supporto per situazioni di scompenso psicopatologico;
- la sovraesposizione mediatica nei confronti di tutto ciò che attiene all’epidemia (con una copertura di notizie al riguardo praticamente continua 7 giorni su 7). Generatrice essa stessa di particolare amplificazione ansiosa nei soggetti predisposti, anche per il rischio concreto di diffusione di informazioni inesatte o magari del tutto infondate;
- la consapevolezza che gli operatori sanitari lavorano in condizione di forte disagio e potrebbero essere meno disponibili alle normali azioni di supporto verso problematiche di ordine psico-emotivo.
La dinamica psicologica in situazione di emergenza
Per meglio comprendere le dinamiche psicologiche che si determinano in queste situazioni, caratterizzate dal venire meno improvviso di punti di riferimento e di certezze sociali, affettive e lavorative, si può utilizzare il “Modello di Elaborazione degli Eventi” in cinque fasi, sviluppato nel 1970 da Elizabeth Kubler-Ross.
Questo strumento aiuta a capire attraverso quali passaggi venga elaborato lo scompenso emotivo determinato da un qualsiasi evento percepito più o meno inconsciamente come “perdita”.
Fase 1
La prima reazione caratterizza la fase di negazione (“non vedo perché dovremmo preoccuparci, non succede niente di nuovo, è la solita banale influenza”). In questa fase non si vive la “realtà attuale”, piuttosto la “realtà preferita”, evidentemente perché negare l’evento o minimizzarne la portata in qualche modo aiuta a fronteggiarlo meglio.
Fase 2
Con il passare dei giorni si ritorna però a vivere nella realtà “reale”, e, a questo punto può iniziare a manifestarsi la rabbia, connotata da un fondo rivendicativo ed espressivo della convinzione di un torto patito (“perché succede proprio a noi?”, “la vita è ingiusta!”), oppure eterodiretta verso un nemico esterno su cui riversare tutta la colpa (“quei maledetti pipistrelli” “ci hanno infettati gli stranieri,” “la sanità italiana è allo sfascio e non ci tutela”). Se si è fedeli, si potrebbe iniziare a mettere in dubbio anche la fede verso Dio, chiedendosi “dove sia finito, o perchè non ci ha protetto”.
Fase 3
Il passo successivo è caratterizzato dalla spinta ad operare un meccanismo di contrattazione tramite il quale si pensa di poter venire a patti con figure esterne, negoziando in tal modo l’ottenimento di qualche elemento di speranza (“se Dio ci aiuta a passare questo momento prometto che…” “se il medico mi cura bene e mi guarisce avrò fiducia nella scienza…”), evitando in questo modo le conseguenze più gravi dell’epidemia.
Fase 4
Se questo procedimento non determina risultati si può transitare in uno stato di depressione per la perdita di speranza, con la tendenza a considerare ineluttabile un prossimo precipitare degli eventi in senso negativo (“ormai ho capito dove si andrà a finire … sarà un disastro totale… ci vorranno anni per riprenderci, se mai ce la faremo”).
Fase 5
L’ultima fase identificata da Kübler-Ross è l’accettazione. Si acquisisce consapevolezza della nuova situazione, per esempio per ciò che riguarda le abitudini di vita sociale che non torneranno quelle di prima per chissà quanto tempo, ma si riesce comunque ad accettare la nuova condizione e a convivere con essa.
È evidentemente un momento di adattamento e ri-adattamento, cui segue una stabilizzazione delle emozioni ed un recupero del senso di realtà.
E’ sicuramente utile avere consapevolezza di questi meccanismi, sia da parte delle persone che vivono quotidianamente le ansie legate al diffondersi di questa epidemia sia da parte delle figure professionali che forniscono servizi nell’ambito della salute mentale, che possono attuare un intervento più mirato se identificano la specifica fase in cui si trova il soggetto bisognoso di aiuto.
L’impatto dell’epidemia sulla salute mentale
Una particolare fascia di popolazione che è ancora più sensibile a tutte le problematiche su esposte è quella composta da persone già affette da disturbi mentali, che possono essere particolarmente vulnerabili alle conseguenze psicopatologiche della pandemia.
- Gli effetti dei pericoli sulla salute pubblica da parte dell’infezione virale saranno amplificate nei soggetti con Disturbi d’ansia/panico. Ancora più elevate saranno le preoccupazioni di contrarre un’infezione o che i propri cari si ammalino, con la tendenza ad ipervalorizzare sintomi somatici anche lievi, timori peraltro che vengono soggettivamente giustificati dalla consapevolezza che non si dispone, al momento, di un trattamento efficace per il COVID-19.
- I Disturbi Ossessivo Compulsivi incentrati su timori di contaminazione trovano facilmente motivi di rinforzo: comportamenti pervasivi di lavaggio, pulizia, sterilizzazione e decontaminazione di tutte le superfici, domestiche e non, possono essere facilmente esacerbati dalla minaccia di pandemie infettive, in un quadro soggettivo di costante tendenza alla sopravvalutazione del danno.
- La possibilità di interpretazioni distorte della realtà (origini sospette del contagio, attribuzione di volontà nella diffusione del virus da parte di entità non identificabili, teorie della cospirazione, senso di minaccia costante con idee persecutorie) attengono ad un’area di Disturbi psicotici che si alimentano anche di fake news di varia natura.
Cosa fare per cercare di ridurre l’impatto dell’epidemia sulla salute mentale
In questa difficile fase che stiamo attraversando è quindi essenziale attivare strategie di protezione e, al contempo, interrompere modalità disfunzionali di comportamento.
Vari Organismi, nazionali e internazionali, hanno pubblicato una serie di istruzioni, rivolte alla popolazione generale, circa le modalità di gestione dello stress correlato all’epidemia da Coronavirus, che possiamo riassumere nei punti seguenti:
- evitare la tentazione di sapere “tutto” sul nuovo coronavirus SARS-CoV-2; consultare solo fonti affidabili per avere informazioni sui rischi e sulle precauzioni e limitare a 1-2 volte al giorno il tempo dedicato a seguire le notizie;
- riconoscere e accettare l’incertezza, non dare credito ai propri pensieri, spostare l’attenzione sulle proprie azioni e attività;
- finché permane l’obbligo di isolamento domiciliare praticare esercizio fisico “domestico” (ad es. Yoga, Pilates, Tai Chi, stretching, cyclette), esercizi di stimolazione cognitiva (esercizi aritmetici, rompicapi, parole crociate, sudoku), tecniche di rilassamento (ad es., respirazione, meditazione, mindfulness), lettura di libri e riviste;
- fare riferimento a un operatore sanitario, un professionista specializzato o un’altra persona di fiducia quando prevale il senso di sconforto o di pericolo imminente;
- conservare uno stile di vita sano, includendo una dieta adeguata, la regolarità del sonno, l’uso particolarmente moderato di alcol e stimolanti;
- mantenere il più possibile una personale routine quotidiana oppure crearne una nuova, rimando connessi e coltivando le abituali reti sociali;
- se si ha bisogno di aiuto è importante rivolgersi al proprio psicologo/psicoterapeuta o al proprio medico di fiducia per avere indicazioni oppure fare riferimento ad associazioni e a professionisti accreditati;
- cercare il supporto di familiari, amici, ecc. e di coloro che vivono la stessa situazione e, al contempo, offrire aiuto, anche telefonico, alle persone nella stessa comunità che potrebbero aver bisogno di ulteriore assistenza, creando solidarietà nell’affrontare insieme l’epidemia COVID-19.