.i studi epidemiologici sulla bulimia e sui disturbi alimentari in Europa e Stati Uniti mostrano un quadro sconcertante. Preoccupa la loro incidenza: nei paesi industrializzati 10 ragazze su 100 tra i 14 e i 25 anni soffrono di una qualche forma di disturbo del comportamento alimentare). Ma anche l’età di esordio, sempre più precoce.
I disturbi alimentari hanno un impatto profondo non solo su chi ne è affetto, ma anche sulle persone che vivono con chi ha questo problema. Quindi soprattutto i familiari, nei quali sono inevitabili sentimenti contrastanti, tensione e frustrazione.
Molte difficoltà sono dovute anche alla diffusione di molte informazioni inadeguate o addirittura sbagliate. Queste generano confusione e false convinzioni e rendono ancora più difficile affrontare tali situazioni nel modo più adeguato.
Le presunte cause della bulimia
Questo è sicuramente dovuto anche al fatto che non abbiamo ancora una conoscenza precisa sulle cause dei disturbi dell’alimentazione. La ricerca ha mostrato come lo sviluppo della bulimia e dei disturbi del comportamento alimentare in generale sia dovuto ad una combinazione complessa di fattori di rischio genetici e ambientali.
Purtroppo però certe teorie che enfatizzano il ruolo primario delle relazioni familiari nell’insorgenza di tali disturbi (che hanno portato a coniare termini dispregiativi come “madre anoressogena”) sono ancora in circolazione e dure a morire. Eppure queste sono state riconosciute come eccessivamente semplicistiche ed erronee.
I modelli teorici che hanno individuato negli stili familiari la causa dei disturbi portano idee sbagliate e contribuiscono a sviluppare nei familiari stessi sensi di colpa e reazioni che possono in realtà contribuire ad aggravare o mantenere il disturbo. Oggi sappiamo che la famiglia non “causa” il disturbo alimentare. Però le modalità emotive familiari possono influenzarne l’andamento e quindi avere un ruolo nel mantenere o aggravare il disturbo o, al contrario, favorirne il miglioramento. In particolare sembrano avere un impatto negativo sul trattamento i commenti critici e l’ostilità.
Informazioni corrette sulle cause di bulimia e disturbi alimentari
La parola “bulimia” deriva dal greco e significa letteralmente “fame da bue”. La bulimia nervosa inizia tipicamente con una dieta ferrea la cui restrizione viene interrotta dopo un certo periodo dalle abbuffate. Nella maggior parte dei casi gli episodi bulimici sono seguiti da comportamenti a fine compensatorio come il vomito autoindotto, l’uso inappropriato di lassativi e/o diuretici, il digiuno o l’esercizio fisico eccessivo per prevenire l’eccessivo aumento di peso.
La prima cosa fondamentale da tenere ben presente è che il disturbo della persona bulimica non è la conseguenza di una scelta personale, nè tantomeno è dovuto ad una mancanza di volontà. Esso è il frutto di una complessa interazione di fattori.
Le attuali ricerche sono infatti concordi nel considerare la genesi dei disturbi del comportamento alimentare secondo modelli multifattoriali che si rifanno ad un’ottica bio-psico-sociale. La causa di tali disturbi non è unica, ma va considerata una concomitanza di fattori che possono interagire tra loro in modo vario e che possono favorirne la comparsa e il mantenimento.
Fattori predisponenti
Secondo Garner (1993), possono essere definiti fattori predisponenti tutte le possibili cause che possono predisporre e facilitare l’insorgenza del problema. Tra questi abbiamo fattori genetici, fattori legati al meccanismo della fame e della sazietà, fattori socioculturali (in un ambiente dove la bellezza e il valore personale sono associati alla magrezza), fattori individuali (scarsa autostima, sentimenti di impotenza, estrema sensibilità alle critiche, conflitto tra autonomia e dipendenza, perfezionismo e ricerca di controllo) e fattori legati all’esperienza affettiva nelle relazioni familiari.
Fattori precipitanti
Tra i fattori precipitanti hanno un ruolo centrale l’insoddisfazione per il proprio corpo e la scelta del comportamento restrittivo come soluzione disfunzionale per migliorare l’autostima e il controllo di sé. La pubertà, i cambiamenti di vita, le critiche negative sul proprio aspetto fisico, lutti, esperienze traumatiche e la scelta di intraprendere una dieta rigida sono quindi tutti fattori che possono portare all’insorgenza vera e propria della bulimia.
Fattori di mantenimento
Tra i fattori che invece contribuiscono a mantenere la sintomatologia abbiamo proprio i sintomi da digiuno, le reazioni di rinforzo degli altri rispetto alla forma fisica ottenuta con la restrizione (in quanto adeguata agli standard proposti dalla società), commenti critici rispetto ai comportamenti problematici della persona bulimica.
Come rapportarsi con chi soffre di bulimia
Incoraggiare la persona a chiedere un aiuto professionale solo per fare una valutazione e non per iniziare un trattamento
Bisogna avere ben presente che la persona bulimica nella maggior parte dei casi ha una profonda ambivalenza rispetto all’iniziare una cura. Questo è il primo aspetto su cui si lavora quando si inizia un trattamento. Alcuni pazienti non considerano il disturbo dell’alimentazione come un problema, altri hanno una estrema paura di diventare grassi, altri hanno in generale paura di cambiare e hanno difficoltà ad abbandonare il loro sistema di controllo.
Inoltre le persone bulimiche possono avere un profondo senso di vergogna rispetto al loro comportamento e reagire molto male a tentativi di assistenza e aiuto da parte dei familiari e dei cari in generale, non recependo in modo positivo gli sforzi fatti dagli altri per aiutarli.
Aiutare se stessi e la persona persona malata a vedere oltre i problemi del peso e del cibo
La persona bulimica ha bisogno di capire, non di essere colpevolizzata. Il sintomo è infatti il modo che la persona ha trovato per fronteggiare un problema o un conflitto interno, una pseudosoluzione (disfunzionale) e deve essere aiutata a capire e a trovare modi più funzionali.
Evitare commenti critici negativi
Spesso tali commenti sono il frutto di informazioni non corrette sul disturbo. Bisogna tenere bene in mente che comportamenti quali avere abbuffate o fare esercizio fisico eccessivo non sono il frutto di scelte personali, tantomeno segno di debolezza o scarsa disciplina. Sono invece espressione del disturbo stesso.
Può essere utile tenere lo stesso atteggiamento che si terrebbe spontaneamente se il familiare soffrisse di una malattia somatica che gli impedisce di eseguire comportamenti adeguati.
Evitare anche commenti sul peso e sulla forma del corpo, meglio focalizzarsi sugli effetti negativi della bulimia sulle dimensioni di vita positive e salutari come le amicizie, la scuola o lo sport.
Evitare giudizi, minacce, reazioni ostili e aggressività
Anche tali reazioni sono spesso dovute ad una interpretazione sbagliata dei sintomi della persona bulimica ma non fanno altro che intensificare le emozioni negative. Generano colpa e vergogna nella persona malata, che spesso accentua l’uso dei comportamenti disfunzionali proprio per gestire tali espressioni emotive.
Chi vuole aiutare una persona bulimica deve avere pazienza, la guarigione richiede tempo. La persona bulimica ha anche bisogno di sentirsi non giudicata ma supportata, anche attraverso l’ascolto e atteggiamenti empatici.
Non ignorare il problema
A volte ignorare il problema è un modo per evitare i conflitti e cercare di creare un ambiente sereno. Tale comportamento può essere però interpretato come mancanza di affetto e interesse, peggiorando ulteriormente l’autostima e contribuendo a mantenere il problema.
Non trattare la persona bulimica in modo accondiscendente
Si può essere aperti e onesti riguardo le proprie preoccupazioni ed essere specifici e concreti rispetto ai comportamenti problematici. Non è comunque utile forzare la persona rispetto al suo modo di mangiare, meglio delegare tali aspetti allo specialista
Fornire materiale informativo e incoraggiare ad effettuare una valutazione da uno specialista adeguatamente formato secondo gli approcci di efficacia comprovata
Il trattamento dei disturbi del comportamento alimentare ha compiuto numerosi progressi e molti altri ne deve fare. Per quanto riguarda la bulimia esistono però approcci la cui efficacia è stata ampiamente documentata da studi rigorosi.
Il National Istitute for Clinical Excellence (NICE) nel Regno Unito ha sviluppato delle linee guida basate sull’evidenza scientifica. Viene raccomandato come intervento di prima scelta per gli adulti con bulimia nervosa la terapia cognitivo-comportamentale (CBT-BN, ideata da Fairburn negli anni ’80 presso l’Università di Oxford). Tale raccomandazione è basata sul supporto empirico di più di 20 studi clinici controllati che hanno dimostrato non solo la sua efficacia, ma anche la sua superiorità rispetto agli altri interventi psicoterapici o farmacologici.
La psicoterapia più efficace
Recentemente è stata sviluppata una forma di CBT-BN “potenziata” chiamata CBT-E (Cognitive Behavior Therapy-Enhanced) derivata dalla teoria transdiagnostica e ideata per curare tutti i disturbi dell’alimentazione. La diagnosi specifica non è quindi rilevante per la cura, il cui contenuto viene adattato ai meccanismi di mantenimento del singolo paziente.
Inizialmente ideata per il trattamento di pazienti adulti in trattamento ambulatoriale, è stata poi adattata anche per livelli più intensivi di cura e per pazienti adoloscenti. Il modello di trattamento si sviluppa infatti per passi successivi adattati sia in base alle necessità del paziente che in base alle risorse disponibili nella comunità e nel territorio.
Il DSM -5 (APA 2013) ha inserito gli eventi di vita traumatici all’interno dei fattori di rischio ambientali per l’insorgenza dei disturbi del comportamento alimentare.
Alla luce di questo occorre individuare metodi terapeutici adeguati per la risoluzione della sintomatologia ma anche che possano intervenire direttamente sulle memorie traumatiche. In tal modo la persona riorganizza il proprio sistema di funzionamento trovando modalità più adattive di quelle del sintomo. La psicoterapia EMDR consente di intervenire direttamente su queste esperienze ed è riconosciuto da numerosi studi controllati come intervento efficace nei disturbi da stress correlati (Chemtob et al, 2000).
Bibliografia
- American Psychiatric Association (2013) DSM-5. Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders 5 (trad. It. DSM-5, Raffaello Cortina, Milano).
- Balbo M. (2015). EMDR e disturbi dell’alimentazione. Tra passato, presente e futuro. Giunti Editore, Firenze.
- Chemtob C.M., Tolin D.F., van der KolkB.A., Pitnam R.K. (2000), “Eye Movement Desensitization and reprocessing”. In Foa E.A. et al., “Effective treatments for PTSD: Practice guidelines from the international society for traumatic stress studies”, Guilford Press, New York.
- Dalle Grave R. (2014). Disturbi dell’alimentazione: una guida pratica per i familiari. Positive Press, Verona.
- Fairburn, C.G. (2010). La terapia cognitivo comportamentale dei disturbi dell’alimentazione. Firenze: Eclipsi Ed.
- Garner D. (1993) “Self report measures for eating disorders”. Current content, social and behavioral sciences, 8.
- National Institute of Clinical Excellence. (2004). Eating disorders. Core interventions in the treatment and management of anorexia nervosa, bulimia nervosa and related eating disorders. Clinical Guideline 9.