Il termine ludopatia fa riferimento alla condizione di dipendenza dal gioco d’azzardo. Nei testi di ambito medico-psichiatrico e psicologico compare come sinonimo non preferenziale di gioco d’azzardo patologico. Quest’ultima definizione, anche nella forma abbreviata dell’acronimo G.A.P., è il termine tecnico e raccomandato. Esso trova posto nelle classificazioni scientifiche come il DSM 5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), curato dall’ American Psychiatric Association).
Sintomi della ludopatia
Nel DSM-5 il GAP è definito come un “comportamento problematico persistente o ricorrente legato al gioco d’azzardo. Questo porta a disagio o compromissione del funzionamento individuale clinicamente significativi”. Per diagnosticare la ludopatia devono essere rilevate quattro (o più) delle seguenti condizioni entro un periodo di 12 mesi:
- Bisogno di giocare quantità crescenti di denaro per ottenere l’eccitazione desiderata.
- Irrequietezza o irritabilità se si riduce o si sospende il giocare.
- Ripetuti sforzi infruttuosi per controllare, ridurre o smettere di giocare.
- Presenza di pensieri persistenti inerenti il gioco (es.: la persona ha pensieri persistenti, rivive passate esperienze di gioco, analizza gli ostacoli e pianifica la prossima giocata, pensa ai modi di ottenere denaro con cui giocare, etc…).
- La persona gioca quando si sente a disagio (es.: indifeso/a, colpevole, ansioso/a, depresso/a).
- Dopo aver perso denaro (anche cifre ingenti) spesso torna a giocare per ritentare (”rincorrere” le proprie perdite).
- Menzogne per occultare l’entità del coinvolgimento nel gioco.
- Compromissione delle relazioni significative, problemi sul lavoro o con lo studio a causa del gioco.
- Richieste agli altri per procurarsi il denaro necessario a risollevare situazioni finanziarie causate dal gioco.
Prevalenza, decorso e familiarità della ludopatia
La prevalenza del GAP (ovvero la sua diffusione nella popolazione) varia dallo 0,4% al 3,4% negli adulti. I tassi di prevalenza più elevati, dal 2,8% all’8%, si raggiungono negli adolescenti e negli studenti universitari. L’inizio tipico della ludopatia è nella prima adolescenza (nei maschi) e più tardivamente nelle femmine.
Per la maggior parte il decorso è insidioso. Anni di gioco d’azzardo socialmente accettato sono seguiti da un esordio brusco che può essere precipitato da una maggiore esposizione al gioco o da un fattore stressante.
La modalità del gioco può essere regolare o episodica, e il decorso del disturbo è tipicamente cronico. L’impulso e l’attività di gioco d’azzardo generalmente aumentano durante periodi di stress o di depressione.
Relazione tra ludopatia e altri disturbi
Tra disturbi mentali e ludopatia possono intercorrere diversi tipi di associazione. Mueser ha proposto quattro modelli di relazione tra l’area psicopatologica della dipendenza comportamentale e quella degli altri disturbi mentali:
- Presenza di un disturbo psichiatrico primario rispetto al gioco patologico (il disturbo mentale causa il gioco);
- Gioco patologico primario rispetto al disturbo psichiatrico (il gioco determina la comparsa di una malattia psichiatrica);
- Gioco patologico e disturbo psichiatrico sono dovuti a un fattore comune terzo (ad esempio una comune predisposizione genetica);
- Disturbo da gioco patologico e disturbo psichiatrico sono coesistenti perché influenzatisi a vicenda (modello bidirezionale).
Queste diverse possibilità fanno escludere che a priori la ludopatia derivi da una condizione psicopatologica precedente, oppure che ne determini l’insorgenza.
Il gioco patologico può:
- indurre ex-novo un disturbo psichiatrico;
- avere l’effetto di scatenare una manifestazione di un disturbo psichiatrico rimasto latente;
- causare la recidiva di un disturbo psichiatrico preesistente (com’è vero anche il contrario).
Ecco perché una valutazione diagnostica iniziale e la rivalutazione della stessa durante l’intervento sono fondamentali. I quadri che possono mostrarsi sono molteplici e richiedono interventi diversi e specifici.
Neurobiologia della ludopatia
Per diventare “di abuso” un oggetto deve possedere “proprietà dopaminergiche”, cioè agire sulla parte del cervello che si occupa del sistema della gratificazione (il “reward system”).
La probabilità di rimettere in atto un comportamento che ha determinato piacere/gratifica è molto elevata. In base ad un meccanismo naturale, come evitare di ripetere un comportamento che ha prodotto conseguenze negative. Ciò è funzionale alla nostra evoluzione e al preservamento della specie.
È talmente fondamentale per la nostra sopravvivenza rimettere in atto i comportamenti che hanno prodotto piacere/gratifica, che il nostro sistema della ricompensa scarica dopamina (e quindi produce una sensazione personale di piacere) anche solo se anticipiamo con la mente un comportamento gratificante. Questo concetto è trasferibile anche al mondo del gioco patologico. Sapere di “stare per giocare” mobilita un rilascio di quantità di dopamina – e quindi piacere – paragonabile a quello che il cervello rilascia quando stiamo effettivamente giocando.
Craving
Il craving è il “desiderio impulsivo per una sostanza psicoattiva, per un cibo o per qualunque altro oggetto-comportamento gratificante”. Questo desiderio impulsivo sostiene il comportamento dipendente e la compulsione, finalizzati a fruire dell’oggetto di desiderio.
Ad esempio, il craving per l’alcool può essere definito da un punto di vista linguistico “urgenza di bere”. In pratica, la tensione a consumare la sostanza, il pensiero ossessivo ricorrente del bere, sino alla perdita del controllo dei propri impulsi nei confronti delle bevande alcoliche.
Il craving sarebbe stimolato da fattori associati con l’oggetto della dipendenza (es. il gioco nella ludopatia), elementi capaci di svolgere un ruolo “trigger”, cioè “grilletto”. Innescano cioè un meccanismo di condizionamento. Quando un soggetto dipendente incontra uno stimolo trigger, ad esempio quando vede l’insegna di una agenzia di scommesse, per associazione d’idee attiva il desiderio della gratificazione e quindi la compulsione a giocare. Verheul (1999) ha parlato di diverse tipologie di craving associandole a tratti temperamentali o di personalità.
- Una prima forma è detta “craving da ricompensa” (reward craving): la via che la attiva è il desiderio della gratificazione. La disregolazione del sistema dopaminergico/oppioide (tipica delle personalità che ricercano “sensazioni forti e attivanti”) ne sarebbe responsabile;
- La seconda forma è detta “craving da sollievo” (relief craving). Essa è sostenuta dal desiderio di ridurre lo stato di arousal (attivazione). Le vie neuroendocrine coinvolte sarebbero caratterizzate da un disequilibrio tra sistema gabaergico e recettori NMDA. La personalità che presenta questa forma di craving sarebbe caratterizzata da elevata sensibilità allo stress.
- La terza forma è detta “craving ossessivo” (obsessive craving). In questo caso si assiste a una mancanza di controllo a fronte del pensiero intrusivo del gioco. La disfunzione neuroendocrina associata a questa terza condizione consisterebbe in un deficit del sistema della serotonina, in correlazione con una difficoltà nel controllo degli impulsi (Grace 2000).
Alcuni studi (Drummond, 2000) hanno spiegato come il craving non sia obbligatoriamente connesso con i rischi della ricaduta. È stato anzi verificato che le misure della consapevolezza e dell’attenzione rispetto agli elementi scatenanti il craving possono essere inversamente correlate con l’entità reale del comportamento di gioco. Nella ludopatia, maggiormente si conosce il proprio craving (e le sue modalità di manifestarsi) maggiori sono le probabilità di fronteggiarlo evitando il ricorso al gioco.
Tipologie di giocatore
Custer (1984) ha individuato 5 tipologie di giocatori d’azzardo.
- Professionisti: si mantengono giocando d’azzardo, considerano il gioco una professione come un’altra per mantenersi economicamente. Non sono dipendenti in quanto non perdono il controllo sull’attività e ne controllano l’evolversi sia dal punto di vista economico che temporale.
- Antisociali: si servono del gioco d’azzardo per ottenere denaro in maniera illegale (corse truccate di cavalli o cani, dadi truccati o carte segnate).
- Sociali occasionali: il gioco è considerato una forma di divertimento e di socializzazione, non interferisce con gli obblighi familiari, sociali e lavorativi.
- Per fuga e per alleviamento: questa tipologia gioca per trovare sollievo alle sensazioni di ansia, depressione, rabbia, noia o solitudine, il gioco provoca loro un effetto analgesico invece che euforizzante.
- Compulsivi: hanno perso il controllo sull’attività di gioco. Questo diventa l’unico pensiero fisso e prende il sopravvento sulle relazioni familiari, sociali e lavorative (Custer, 1984).
Dal gioco ricreativo alla ludopatia
Il percorso evolutivo che alcune persone vulnerabili possono intraprendere nel momento in cui vengono a contatto con il gioco d’azzardo può manifestarsi in modi diversificati. Sia in base alle caratteristiche dell’individuo che a quelle dell’ambiente in cui vive. Il gioco d’azzardo patologico è comunque da considerarsi una patologia progressiva. Può colpire individui che reagiscono alla vincita e alla perdita di denaro in maniera diversa, che hanno un grado di consapevolezza e di autocontrollo differenti e, di conseguenza, un comportamento alla sperimentazione degli stimoli “vincita/perdita” molto diverso.
Solitamente la generazione e il mantenimento del comportamento ludopatico passa attraverso una prima fase di ricerca e sperimentazione volontaria dello stimolo, il cosiddetto gioco informale o ricreativo. In questo modo, il soggetto sperimenta l’effetto gratificante ed eccitante che contemporaneamente può essere percepito come “sedativo/inibente” di pensieri negativi e/o ansie esistenziali, producendo a volte un aumento dell’autostima e socializzazione.
Questi effetti portano di solito a un rinforzo e ad una continuazione del comportamento, passando quindi da un gioco informale/ ricreativo ad un gioco problematico tipico della ludopatia. La continuazione del gioco problematico produce due effetti fondamentali: il primo consiste in un modellamento cognitivo e simbolico che il soggetto struttura attorno al gioco, alle sue esperienze di vincita e di perdita, alle proprie abilità e alle fantasie di vario tipo che questo comporta. Il secondo consiste in un effetto strutturale neuro-plastico del cosiddetto “motore neuro-cognitivo” dove si ha da una parte la diminuzione del controllo volontario e della corteccia prefrontale, dall’altra un aumento del drive emozionale, dipendente soprattutto dall’amigdala.
Il tutto comporta lo sviluppo di meccanismi/sistemi cerebrali autonomi che condizionano fortemente il comportamento del soggetto, esprimendo un gioco patologico compulsivo fuori controllo.
La Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale della ludopatia
Per la terapia cognitivo-comportamentale il gioco d’azzardo patologico è il risultato di fattori cognitivi (credenze, atteggiamenti negativi relativi al controllo, la fortuna, la previsione e il caso) e comportamenti disadattivi espressi dal paziente. Di seguito sono riassunte le principali fasi del lavoro.
- Analisi funzionale: Si prendono in considerazione i singoli episodi di gioco, identificando i fattori scatenanti e le conseguenze del comportamento. Esempi di fattori scatenanti la ludopatia sono: immediata disponibilità di denaro, tempo libero non strutturato, problemi interpersonali, noia, sentimenti di rabbia e depressione. Per ognuno dei fattori che scatenano gli episodi di gioco, possono esistere delle possibili soluzioni (gestione controllata del denaro, programmazione delle attività durante il tempo libero, supporto per problemi interpersonali, strutturazione di attività ricreative socializzanti anti-noia, terapie specifiche che per eventuali stati di depressione o stati ansiosi) che devono essere vagliate col paziente.
- Analisi delle credenze e distorsioni cognitive: I pensieri e le credenze costituiscono la base cognitiva su cui si struttura il comportamento patologico. È necessario conoscere gli errori cognitivo-comportamentali più frequenti al fine di poter centrare l’intervento psicoterapico.
- Automonitoraggio del craving (impulso a giocare): E’ indispensabile che il paziente impari ad auto-monitorare e comprendere l’azione del craving. Gli stimoli scatenanti, siano essi interni o esterni, portano a un’attivazione del sistema nervoso autonomo con una successiva attivazione dei pensieri di gioco sulla base dei quali si attiva un bisogno impellente di giocare, cioè una situazione di craving, che porta al comportamento di gioco patologico con recidive frequenti. Contemporaneamente, il deficit del controllo dell’impulsività connotato da una scarsa attività di coping e controllo prefrontale, da scarse capacità di problem solving, da incapacità di rimandare la gratificazione e una scarsa flessibilità nel rielaborare le proprie convinzioni, creano una situazione patologica su cui gli approcci cognitivo comportamentali possono intervenire.
- Analisi delle social skills e delle abilità di coping: in questa fase si promuove lo sviluppo delle abilità sociali e di gestione dello stress che in fase di assessment possono essere state connesse allo strutturarsi del disturbo. Alcune abilità su cui si va tipicamente a lavorare sono: assertività, regolazione emozionale, efficacia interpersonale, tolleranza della sofferenza psichica
- Prevenzione delle ricadute: in questa fase s’introduce il tema della ricaduta come “processo” e non come singolo evento, si prendono in esame i segnali di allarme incoraggiando il paziente a identificare i propri. In questa fase è stilato lo schema riassuntivo delle “situazioni ad alto rischio” e il piano per fronteggiarle. Può essere opportuno riflettere sulla partecipazione a gruppi sul tema del gioco d’azzardo patologico presenti sul territorio.