“Un adolescente su 6 nella fascia di età 10-19 anni soffre di disturbi mentali. Il 50% dei problemi di salute mentale inizia a 14 anni.”
E’ l’allarme lanciato dagli psichiatri per la Giornata mondiale della Salute Mentale, indetta quest’anno dall’ONU e dall’OMS sul tema “Giovani e salute mentale in un mondo che cambia” che si è celebrata mercoledì 10 ottobre. La metà di tutte le malattie mentali inizia all’età di 14 anni, ma nella maggior parte dei casi non viene rilevata o viene sottovalutata, e quindi non viene trattata. Magari pensando che “si sa, l’adolescenza è stata difficile e complicata per tutti”.
Un altro dato spaventoso – sottolineano gli psichiatri – è che il suicidio è la seconda causa di morte tra i giovani di 15-29 anni, superata solo dagli incidenti stradali. “Serve prevenzione, servono fondi da investire in questo ambito, servono programmi specifici nelle scuole per facilitare il riconoscimento di tutti quei fattori ‘tossici’ che possono favorire l’esordio e il mantenimento di patologie psichiche”. A dirlo è il dott. Roberto Mezzina, direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda Sanitaria di Trieste e collaboratore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
In Italia oggi vivono circa 8 milioni e 200 mila giovani tra i 12 e i 25 anni. Di questi circa il 10% (dati ISTAT) si dichiara globalmente insoddisfatto della propria vita, delle relazioni amicali, familiari e della propria salute.
Questo dato, osservano gli specialisti, segnala che un numero estremamente significativo di giovani è in una situazione di difficoltà emotiva, confermata dalla prevalenza, sempre attorno al 10%, di forme depressive o ansiose in questa fascia d’età, tanto da riconoscere che “la depressione è la malattia mentale più diffusa tra gli adolescenti”. Lo rilevano gli esperti della Sip, la Società italiana di psichiatria, che si riuniscono in questi giorni a Torino (dal 13 al 17 ottobre), in un congresso dal titolo ‘La salute mentale del terzo millennio’.
È a questi 800 mila giovani che bisogna prestare attenzione, facilitando il riconoscimento di tutti quei fattori ‘tossici‘ che possono favorire l’esordio e il mantenimento di patologie psichiatriche.
“Lo sviluppo psichico di ciascun individuo– precisa Bernardo Carpiniello, presidente della Sip e direttore della Cattedra di Psichiatria all’Università di Cagliari – avviene in un rapporto continuo e dialettico con tutto ciò che lo circonda, sia come micro-ambiente (ovvero l’ambiente più prossimo, costituito dalla famiglia e dai legami più stretti) sia come macro-ambiente (il clima culturale, i movimenti sociali e antropologici).
Dobbiamo quindi immaginare il percorso verso la salute psichica come un processo che si sviluppa nell’ambito di sollecitazioni esterne che possono comportare effetti più o meno evidenti, sia in relazione alla loro natura e intensità sia in relazione al periodo della vita durante il quale si verificano”.
“I nativi digitali – afferma Claudio Mencacci, Past President della Sip, Direttore del Dipartimento di Neuroscienze all’ASST Fatebenefratelli-Sacco di Milano – sono esposti, rispetto ai ragazzi di qualche decennio fa, a un numero notevolmente maggiore di stimoli e, di converso, a un ridotto numero di spazi di vuoto e di noia. E’ come se il cervello fosse perennemente bersagliato da immagini, informazioni, opportunità e richieste. Questa condizione sicuramente comporta molti vantaggi, dato che tutti questi stimoli possono implementare la curva degli apprendimenti, ma vi è un costo. E’ come se avessimo un cervello perennemente sotto attacco, cui è raramente consentito di collocarsi in quella condizione di quiete che viene denominata ‘resting-state’”.
“Il mondo che cambia” è anche il mondo delle nuove sostanze d’abuso, con un’offerta sempre più varia e a basso costo di nuove molecole ad azione psicotropa i cui effetti a lungo termine sono ancora poco noti, ma le cui conseguenze nel breve periodo ci appaiono già estremamente allarmanti.
“Le sostanze d’abuso – sostiene ancora Carpiniello – sono dei veri e propri detonatori rispetto ai disturbi mentali: l’esordio sempre più precoce del Disturbo Bipolare, che nel 40% dei casi oggi si colloca fra il 15 e i 19 anni, è in parte correlato all’uso di psicostimolanti, mentre è stato evidenziato da vari studi che l’uso di cannabis, soprattutto di quella ad alta potenza, aumenta anche di 3 volte la possibilità di sviluppare Disturbi di tipo schizofrenico nei soggetti predisposti. Di fronte a tutti questi rischi è importante considerare l’adolescenza come un periodo sensibile, da tutelare e proteggere, facendo sì che i ragazzi che mostrano segnali di sofferenza psichica possano essere aiutati per tempo”.
“Non affrontare i problemi di salute mentale degli adolescenti ha come conseguenza il protrarsi di tali disturbi fino all’età adulta – sottolinea anche l’OMS – limitando in questi soggetti le opportunità di condurre una vita appagante e di fornire il loro contributo alla forza lavoro, alle famiglie e alla società nel suo insieme”.
La depressione adolescenziale è spesso identificata in prima diagnosi nello studio del pediatra di famiglia, da dove spesso inizia anche il percorso che conduce agli specialisti e al trattamento. E’ ben noto che i giovani affetti da disturbo depressivo sono spesso riluttanti (al pari delle loro famiglie) ad assumere farmaci psicoattivi, con la conseguenza che la patologia depressiva risulta spesso trattata in modo inadeguato. Inoltre c’è da considerare che un avvertimento dato nel 2004 dalla Food and Drug Administration (l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici), riguardante il riscontro di un aumento del rischio suicidario associato all’uso di antidepressivi, ha ulteriormente contribuito negli ultimi anni alla restrizione delle prescrizioni di questi presidi terapeutici. Risultato di tutto ciò è che ben il 50% dei giovani depressi rifiuta la farmacoterapia, e tra coloro che la cominciano, almeno la metà non riesce a mantenere l’aderenza alla cura per un periodo di tempo sufficiente a goderne i benefici.
Gregory Clarke, del Kaiser Permanente Center for Health Research di Portland, Oregon, sostiene che, nella realtà, “gli specialisti hanno poche opzioni di scelta per il trattamento della depressione giovanile, e la terapia cognitivo-comportamentale sembra essere ormai diventata una soluzione utile”.
In uno studio da lui condotto sono stati monitorati più di 200 adolescenti tra 12 e 18 anni, affetti da depressione maggiore, suddivisi in due gruppi: nel primo gruppo sono stati inseriti i pazienti che avevano cessato la terapia farmacologica senza intraprendere altri trattamenti, il secondo gruppo comprendeva invece pazienti che si sottoponevano a sedute di terapia cognitivo-comportamentale. Così facendo i ricercatori hanno scoperto che, dopo due anni di follow-up, il miglioramento dei sintomi depressivi è stato significativamente più veloce nel gruppo in terapia cognitivo-comportamentale rispetto a quello del gruppo di controllo.
Clarke conclude affermando che “lo studio dimostra che nell’ambito delle cure primarie l’impostazione di una terapia cognitivo-comportamentale può essere efficace nei giovani depressi che rifiutano o interrompono il trattamento farmacologico, riducendo il ricorso a servizi di secondo livello come ambulatori e ricoveri psichiatrici”.
Secondo quanto emerge da un altro studio condotto da Nicola Wiles, del Centre for Academic Mental Health dell’Università di Bristol (Regno Unito) e.pubblicato su The Lancet Psychiatry, la terapia cognitivo-comportamentale è clinicamente efficace anche dopo anni dal termine del trattamento nei pazienti depressi che non hanno tratto beneficio dalla terapia farmacologica.
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