Il Training Assertivo è costituito normalmente da 8-12 sedute di circa due ore ciascuna (preferibilmente in gruppo, max 10/12 partecipanti ma è possibile anche a livello individuale) e comprende una parte teorica e molte parti pratiche.
Nella prima (detta psicoeducazione) vengono illustrati i principi generali dell’assertività, gli aspetti che normalmente favoriscono il comportamento non-assertivo (anassertivo), le diverse tipologie di comunicazione di tipo verbale e non-verbale, ecc.
Nelle seconde vengono svolte esercitazioni pratiche, role-playing (giochi di ruolo), esercizi di modeling ed esposizione, per aiutare la persona a mettersi in gioco, ad applicare praticamente quanto appreso ed a generalizzarlo in ogni contesto.
E’ giusto ricordare che il training di assertività non ha solo applicazioni cliniche, ma può essere applicato anche in diversi contesti organizzativi ed in gruppi di lavoro professionali: è, infatti, una pratica adatta a chiunque desideri apprendere a stare con gli altri in modo sempre più adeguato, positivo ed efficace.
Può rivelarsi un’esperienza formativa interessante, piacevole ed addirittura divertente, sfatando il pregiudizio negativo che, spesso, vede le pratiche psicoterapeutiche soltanto come difficili, dolorose, noiose, “pesanti”.
Certamente, non si può pretendere di diventare assertivi dall’oggi al domani: si cambia gradualmente, col tempo e con la pratica; quando il nuovo modo di comportarsi comincerà a sembrare spontaneo al soggetto, questo si sentirà più sicuro e più soddisfatto di sè stesso.
Anche le persone intorno potrebbero aver bisogno di un po’ di tempo per adattarsi al cambiamento: se, per esempio, in precedenza si lamentavano per la troppa aggressività, magari saranno piacevolmente sorprese, mentre se erano abituate ad una certa remissività, alcune potrebbero non gradire il nuovo stile di comunicazione.
Tutto ciò, bisogna ribadirlo, non deve assolutamente interferire con la motivazione né con la riuscita del training assertivo!
Diventare assertivi è indubbiamente molto utile, dunque, per prendere la decisione di cambiare ed avere la giusta spinta, si può ricorrere all’analisi dei vantaggi/svantaggi, ponendosi delle domande, tipo: “che cosa ci guadagno se continuo a non essere assertivo? E cosa, invece, perdo? Per me è più importante essere sempre approvato e non contraddire gli altri, piuttosto che essere indipendente e sincero? Preferisco evitare i conflitti o poter esprimere le mie opinioni? Voglio ancora sfuggire le responsabilità o prendere le mie decisioni liberamente? I vantaggi superano gli svantaggi? Perché?”
Inoltre, è sempre bene tenere a mente il decalogo dei “Diritti personali”, validi per chiunque, che si possono ripetere a sé stessi per motivarsi e ribadire l’importanza dell’assertività:
- Ho il diritto di essere il giudice di ciò che faccio o penso
- Ho il diritto di non fornire spiegazioni o scuse per il mio comportamento.
- Ho il diritto di non assumermi la responsabilità di risolvere i problemi altrui
- Ho il diritto di cambiare idea
- Ho il diritto di sbagliare
Ho il diritto di dire: “Non lo so”
- Ho il diritto di decidere per me stesso
- Ho il diritto di dire: “Non capisco”
- Ho il diritto di dire: “Non me ne importa ‘
- Ho il diritto di dire: “No” senza sentirmi in colpa.
Vediamo, adesso, in maniera più specifica le varie componenti che riguardano la comunicazione assertiva; le abilità comunicative si possono dividere in:
1) VERBALI:
- capacità di cogliere il momento opportuno (timing)
- essenzialità dell’eloquio e brevità
- efficacia informativa
- proprietà di linguaggio
- scorrevolezza
- ritmo ed enfasi
- ascolto attivo
- saper fare domande chiuse/aperte
- fornire “libere informazioni”
- autoapertura
- sapere fare/ricevere critiche
- saper scusarsi
- saper usare il pronome “io”
- saper rifiutare/dire “no”
- utilizzo di parafrasi/riflessioni
- utilizzo di indicazioni/prescrizioni
- gestione del silenzio;
2) NON-VERBALI:
- gesticolazione
- postura
- volto e mimica
- contatto oculare
- tono, volume e fluenza della voce
- spazio interpersonale
- cura di sé (es. modo di vestirsi).
Le componenti verabali nella comunicazione assertiva dovrebbero riflettere la spontaneità di espressione, rivelare i propri sentimenti ed assumersene la responsabilità. La meta finale è esprimere sé stessi in maniera onesta e rispettosa.
Per esempio, le domande chiuse, alle quali si risponde solo con un “sì” o con un “no”, hanno lo scopo di far terminare presto la conversazione, sono utili all’inizio di un discorso, poi è necessario far seguire delle domande aperte (cosa, come, dove, quando, perché) per creare rapporto, chiedere notizie, dimostrare e suscitare interesse.
Dare e ricevere “libere informazioni” serve per cogliere gli indizi forniti dall’interlocutore, capire cosa è importante e interessante per lui e prestargli attenzione, per non rendere la conversazione un’ intervista, così da procedere in modo più fluido.
L’autoapertura è utile per comunicare il proprio modo di pensare, in maniera non invadente, dare informazioni sulla nostra vita, i nostri interessi, senza monopolizzare la comunicazione col desiderio di mettersi “in mostra”, rende più coinvolgente il dialogo.
Fare/rifiutare richieste è indispensabile per esprimere e far conoscere sè stessi, bisogna essere in grado di accettare un rifiuto, non pensare che chiedere non sia educato, né immaginare che gli altri dovrebbero capire cosa vogliamo noi senza che lo esprimiamo a parole.
Chi non riesce a mettere in pratica questi comportamenti commette spesso degli errori, può starci male quando le cose non vanno come si aspettava, non sa esprimere i propri bisogni né porre un limite alla sua disponibilità.
Le componenti non-verbali, invece, hanno la funzione di esprimere gli stati d’animo e le emozioni associate alla comunicazione.
Le informazioni provenienti da questo canale ci offrono segnali importanti con due funzioni principali: la discriminazione delle intenzioni, degli stati d’animo e degli atteggiamenti interpersonali, e la comprensione dello stato sociale e del ruolo del nostro interlocutore.
Per esempio, colui che sa mantenere un buon contatto oculare si mostra una persona aperta e sicura di ciò che sta dicendo, ed è una maniera efficace di dichiarare la propria sincerità ed intenzionalità.
L’espressione del volto deve accordarsi al messaggio che si trasmette, affinchè questo risulti efficace e credibile, mentre attraverso la mimica facciale si trasmettono le emozioni che stiamo provando.
Anche i movimenti delle mani e di altre parti del corpo hanno un grande valore comunicativo, infatti descrivono, enfatizzano o accompagnano il discorso, benché una gesticolazione eccessiva possa, a volte, essere causa di distrazione.
Una postura eretta, aperta, rilassata, non rigida né “piegata”, è l’ideale, dimostra che siamo a nostro agio ed il corpo, appunto, riflette questa predisposizione d’animo.
Indispensabile è, pure, la gestione dello spazio, cioè stabilire e mantenere una giusta distanza interpersonale, né troppo “addosso”, né troppo distante (nella nostra cultura la distanza ottimale è di un metro, minore nel caso di rapporti confidenziali).
Il tono ed il volume della voce servono per comunicare il nostro umore, le nostre intenzioni, le nostre emozioni, con una voce che dovrebbe risultare chiara, rilassata, amichevole, ben calibrata. Un modo di parlare in tono medio e ben modulato risulta convincente senza intimidire. Il contatto fisico può essere utile per stabilire e mantenere un senso di intimità e solidarietà, ma può generare ansia in determinate situazioni o con alcune persone.