L’extrasistole è un’aritmia del cuore che consiste in un battito prematuro, ossia una contrazione del muscolo cardiaco che avviene prima del previsto, alterando la successione regolare dei battiti nel ritmo sinusale. L’impulso, in questi casi, nasce quasi sempre in sedi diverse dal nodo seno-atriale, che rappresenta l’origine fisiologica dell’attività elettrica del cuore.
Si è discusso a lungo sulla corretta definizione di extrasistole, che letteralmente vorrebbe dire “battito aggiunto”, ma che in realtà rappresenta una sistole prematura o ectopica (per sottolinearne l’origine in una zona differente).
Le extrasistole possono essere fenomeni isolati, che compaiono cioè in maniera sporadica, o consecutivi, che si susseguono a coppie, triplette o a salve, oppure alternandosi ad uno o più battiti regolari.
In genere, a una extrasistole fa seguito una pausa che può essere compensatoria (se la somma del periodo dell’extrasistole più la pausa è uguale a due cicli sinusali) o non compensatoria (se la somma è minore).
In base alla sede di origine, vengono comunemente distinte in sinusali (molto rare), atriali, giunzionali e ventricolari (le più frequenti). Le extrasistole atriali hanno di solito una pausa non compensatoria, quelle ventricolari hanno una pausa compensatoria, che consiste nel fenomeno che viene comunemente definito come la sensazione di “perdere un battito”, “avere un tuffo al cuore”.
Si tratta, in realtà, di episodi molto frequenti e generalmente innocui, che compaiono comunemente in soggetti sani di qualsiasi età, compresa l’infanzia; tutti prima o poi ne soffriamo.
Le cause sono diverse e dipendono dallo stato di salute dell’individuo colpito: in un soggetto cardiopatico, l’extrasistole è legata ad una patologia cardiaca, mentre in un soggetto sano può dipendere da svariati fattori, quali abuso di alcol e/o sostanze, tabacco, caffè e/o thé, stanchezza, sforzi fisici, deprivazione di sonno, stress, stati ansiosi; in gravidanza sono fenomeni di discreta frequenza e persistono fino al parto.
In alcuni casi le extrasistole possono comparire dopo un pasto abbondante, legate alla distensione del fondo gastrico, o dovute alle presenza di ernia iatale o reflusso gastro-esofageo. Più di rado possono essere espressione di un disturbo elettrolitico, es. carenza di potassio, o di un disturbo della tiroide (ipertiroidismo).
I sintomi più frequentemente riferiti di extrasistole sono la sensazione di un battito mancante o doppio, anche se possono ugualmente esser presenti palpitazioni, cardiopalmo, nausea, vertigini, debolezza, pallore, sudorazione, ansia.
Proprio per questo è necessario, innanzitutto, effettuare una diagnosi medica cardiologica, attraverso vari strumenti (valutazione del polso, stetoscopia, elettrocardiogramma classico e da sforzo, ECG dinamico secondo Holter), per escludere la presenza di eventuali patologie cardiache, tra le quali le più comuni in proposito possono essere insufficienza cardiaca, valvulopatie, ipertrofia ventricolare, infarto del miocardio, da curare in sede opportuna con farmaci o trattamenti elettrici/chirurgici a seconda dei casi e della loro gravità.
Nella maggior parte dei soggetti, invece, le extrasistole sono assolutamente benigne e non richiedono alcun intervento medico, nonostante possano spaventare e far temere una seria malattia sottostante; spesso sono sintomo di un disturbo d’ansia e proprio la loro manifestazione, mal interpretata, può scatenare un ulteriore stato di ansietà, producendo così un circolo vizioso che si automantiene.
Può esser utile modificare il proprio stile di vita e correggere alcuni comportamenti, come l’abuso di sostanze stimolanti, l’eccessiva attività fisica, l’esposizione a situazione altamente stressanti, che vengono riconosciuti come fattori scatenanti.
Un percorso di psicoterapia ad indirizzo cognitivo e comportamentale è certamente consigliabile per comprendere meglio il fenomeno, imparare a gestire i sintomi ed a metter in pratica i cambiamenti necessari in un’ottica di prevenzione. Inoltre, si può affrontare il disturbo d’ansia e/o di panico collegato con tecniche specifiche come biofeedback, gestione dello stress, meditazione e/o un’eventualmente una terapia farmacologica con ansiolitici.