Una premessa fondamentale della terapia metacognitiva (Metacognitive Therapy, MCT) presuppone che alla base dei disturbi psicologici vi sia la metacognizione, che controlla, monitora e valuta il modo in cui pensiamo e reagiamo ad un pensiero o ad un’emozione. Ciò che sembra essere fondamentale non è il “cosa” pensiamo, cioè il contenuto del pensiero, ma il “come” pensiamo a noi stessi, agli eventi e alla realtà intorno a noi. La terapia metacognitiva assume quindi che la sofferenza emotiva e i pattern di pensiero disfunzionali dipendano dal “modo” in cui pensiamo e in tal senso sarà la metacognizione ad essere oggetto di trattamento e non la cognizione come nella terapia cognitiva-comportamentale tradizionale (TCC).
Secondo la terapia metacognitiva i pazienti rimangono intrappolati in un vortice di autovalutazioni negative ricorrenti che alimentano stili di pensiero disfunzionali derivati dalla metacognizione. Tali pattern di pensiero dipendono dai fattori cognitivi interni della metacognizione, i quali sono suddivisi in credenze metacognitive, esperienze metacognitive e strategie metacognitive. Essi sono strettamente interconnessi fra loro e riguardano il modo in cui la persona valuta, monitora e controlla le proprie cognizioni ed i propri processi cognitivi.
In terapia metacognitiva il focus dell’intervento sarà centrato quindi sui processi cognitivi disfunzionali e sulle metacognizioni e quindi sul modo in cui la persona reagisce ai contenuti cognitivi. In questa prospettiva viene promosso un “modo” di relazionarsi con i propri pensieri e le proprie credenze come se fossero delle rappresentazioni che possano essere osservate e vissute come meri eventi mentali, cioè come eventi interni distinti dal sé e dal mondo (modo metacognitivo). Viceversa, solitamente le persone che soffrono di disturbi psicopatologici quali depressione e disturbi d’ansia tendono a rapportarsi ad essi come se fossero rappresentazioni fedeli e accurate della realtà così da fondere i pensieri con essa (modo oggetto). Le implicazioni a livello terapeutico dell’adottare un approccio di terapia metacognitiva riguardano il diverso modo di approcciarsi alle esperienze interne: mentre nella TCC si interviene sui contenuti del pensiero e delle credenze, partendo dal presupposto che siano distorte e che vada quindi sfidato il loro grado di accuratezza e di veridicità; nella terapia metacognitiva non si entra nel merito dei significati che la persona dà alle proprie esperienze interiori e non si cerca di modificare il grado in cui ci crede, ma si lavora sulla modifica dei processi implicati nel relazionarsi ad esse, indipendentemente dal loro grado di accuratezza. L’unica eccezione vale esclusivamente per la confutazione delle credenze metacognitive positive e negative.
Alla base della Terapia Metacognitiva (MCT) vi è il modello dell’Autoregolazione delle Funzioni Esecutive (Self-Regulatory Executive model, S-REF; Wells, 2009). Tale modello spiega i fattori coinvolti nel mantenimento della sofferenza emotiva presente nei disturbi psicologici.
I processi cognitivi implicati si sviluppano su tre livelli integrati tra loro:
- Un livello di elaborazione automatica e profonda;
- Un livello di processamento dell’informazione conscio denominato stile cognitivo;
- Un sottosistema di credenze o piani di natura metacognitiva.
Secondo l’approccio metacognitivo le persone tendono a rimanere “incastrate” all’interno di disturbi psicologici a causa dell’attivazione di un particolare pattern di risposta alle esperienze interne, il CAS (Cognitive Attentional Syndrome), ovvero processi di elaborazione dell’informazione cognitiva caratterizzate da preoccupazioni, ruminazioni eccessive, bias attentivi che incrementano il fenomeno di “monitoraggio della minaccia” e strategie di coping disfunzionali.
Il CAS deriva direttamente da conoscenze di natura metacognitiva e nello specifico dipendono da due domini di contenuto:
– le credenze metacognitive positive riguardanti l’utilità di impegnarsi nei processi implicati nel CAS (es. “Se mi preoccupo sarò pronto”; “Focalizzarmi sulla minaccia mi permette di sentirmi al sicuro”; “Devo contrastare i miei pensieri o commetterò un errore”).
– le credenze metacognitive negative inerenti l’incontrollabilità, la pericolosità, l’importanza ed il significato attribuito ai pensieri o alle emozioni (es. “Non ho il controllo sui miei pensieri”; “Se sono in ansia, allora sono davvero in pericolo”).
Il CAS contribuisce quindi allo sviluppo e al mantenimento dei disturbi psicologici. Nella MCT sono quindi le componenti principali del CAS a diventare focus del trattamento. Al contrario della TCC, i pensieri automatici negativi sono dei semplici eventi mentali che fungono da stimoli di innesco per modalità di elaborazione disfunzionali, le quali sono responsabili dei disturbi psicologici e quindi oggetto dell’intervento. Il rimuginio ad esempio, viene descritto come una catena di pensieri negativi in forma preminentemente verbale, che mira alla soluzione di problemi (Wells, 2009) ed è orientato prevalentemente al futuro e all’anticipazione di potenziali minacce; mentre la ruminazione è una forma di pensiero ricorrente in particolar modo focalizzata sul passato e sulla ricerca di significato. Esse si presentano come strategie di coping volontarie e ripetitive in risposta a pensieri ed emozioni negative. Entrambi gli stili di elaborazione delle esperienze interne aumentano di fatto l’evitamento delle stesse, la focalizzazione sugli aspetti problematici o negativi e la normale elaborazione cognitiva ed emotiva degli eventi interni.
Un’altra componente del CAS, il “monitoraggio della minaccia” aumenta l’attenzione verso il pericolo e l’emozione negativa sperimentata e mantiene attivo il meta-sistema di credenze e di piani attivi ad un livello metacognitivo. Inoltre, impedisce che il processo di abituazione si verifichi grazie ad una normale esposizione della persona ai propri eventi interni.
Infine, le strategie comportamentali disfunzionali come i tentativi di controllo del pensiero (es. soppressione del pensiero), l’evitamento esperienziale o altre strategie di autoregolazione emotiva non consentono alla persona di sviluppare strategie di coping più adattive, ma rinforzano un senso di minaccia rispetto al fronteggiamento di situazioni, cognizioni ed emozioni.
L’assessment utilizzato nel trattamento MCT si differenzia dal modello A-B-C classico alla base della terapia cognitivo-comportamentale standard, caratterizzato da un antecedente (A), il pensiero o la credenza distorta o irrazionale (B) e le conseguenze a livello emotivo e comportamentale (C). Il modello proposto dalla terapia metacognitiva viene denominato A-M-C e consiste in un evento interno come antecedente (A), le meta-credenze positive o negative e i processi implicati nel CAS (M) e le conseguenti risposte emotive (C). L’obiettivo a cui è volta questa analisi è rimuovere il CAS grazie anche alla modifica delle credenze metacognitive che lo sostengono.
Il terapeuta MCT deve così potersi muovere all’interno dei diversi livelli di elaborazione, differenziando i pensieri o le credenze “di base” dalla metacognizione, individuando i processi implicati nel CAS e aiutando il paziente a diventare più consapevole degli stili di pensiero disfunzionali e quindi dei processi maladattivi messi in atto. Mentre nel caso della terapia cognitivo-comportamentale l’intervento è volto a lavorare ad un livello cognitivo (modo oggetto) e mira a confutare il contenuto delle credenze riesaminando le prove contrarie e modificando le distorsioni cognitive presenti, nell’approccio MCT l’obiettivo ultimo è quello di passare ad un livello metacognitivo (modo metacognitivo) modificando le modalità con le quali la persona risponde alle proprie preoccupazioni e più in generale ai propri eventi interni, con lo scopo di incoraggiare l’individuo a prendere le distanze da essi, confutando in questo caso le credenze metacognitive sulla preoccupazione stessa o sull’attività metacognitiva maladattiva.
La terapia metacognitiva (MCT) promuove alcune tecniche metacognitive come la Detached Mindfulness (DM), il training attentivo (ATT), la Rifocalizzazione situazionale dell’attenzione (SAR) per intervenire sul CAS e sui processi coinvolti; il dialogo socratico metacognitivo utilizzato per l’identificazione del CAS, l’individuazione e confutazione delle credenze metacognitive ed infine l’esposizione condotta a livello metacognitivo.
Il punto nodale di questo approccio viene rappresentato dal modo in cui il soggetto reagisce, valuta e fronteggia -più o meno consapevolmente- gli eventi mentali e ciò che sembra assumere rilievo all’interno del trattamento è creare un modello metacognitivo più funzionale di risposta alle proprie cognizioni.
La terapia metacognitiva (MCT) è infine sostenuta da numerosi studi che dimostrano l’efficacia in una varietà di disturbi clinici ed in particolare per il disturbo d’ansia generalizzato (DAG), la Fobia Sociale, il PTSD, il DOC e il Disturbo Depressivo Maggiore (DDM).
Wells, A. (2009). Metacognitive therapy for anxiety and depression. New York: Guilford. Trad. it. Terapia Metacognitiva dei Disturbi d’Ansia e della Depressione. Firenze; Eclipsi Una premessa fondamentale della terapia metacognitiva (Metacognitive Therapy, MCT) presuppone che alla base dei disturbi psicologici vi sia la metacognizione, che controlla, monitora e valuta il modo in cui pensiamo e reagiamo ad un pensiero o ad un’emozione. Ciò che sembra essere fondamentale non è il “cosa” pensiamo, cioè il contenuto del pensiero, ma il “come” pensiamo a noi stessi, agli eventi e alla realtà intorno a noi. La terapia metacognitiva assume quindi che la sofferenza emotiva e i pattern di pensiero disfunzionali dipendono dal “modo” in cui pensiamo e in tal senso sarà la metacognizione ad essere oggetto di trattamento e non la cognizione come nella terapia cognitiva-comportamentale tradizionale (TCC).
Secondo la MCT i pazienti rimangono intrappolati in un vortice di autovalutazioni negative ricorrenti che alimentano stili di pensiero disfunzionali derivati dalla metacognizione. Tali pattern di pensiero dipendono dai fattori cognitivi interni della metacognizione, i quali sono suddivisi in credenze metacognitive, esperienze metacognitive e strategie metacognitive. Essi sono strettamente interconnessi fra loro e riguardano il modo in cui la persona valuta, monitora e controlla le proprie cognizioni ed i propri processi cognitivi.
Il focus dell’intervento sarà centrato quindi sui processi cognitivi disfunzionali e sulle metacognizioni e quindi sul modo in cui la persona reagisce ai contenuti cognitivi.
In questa prospettiva viene promosso un “modo” di relazionarsi con i propri pensieri e le proprie credenze come se fossero delle rappresentazioni che possano essere osservate e vissute come meri eventi mentali, cioè come eventi interni distinti dal sé e dal mondo (modo metacognitivo). Viceversa, solitamente le persone tendano a rapportarsi ad essi come se fossero rappresentazioni fedeli e accurate della realtà così da fondere i pensieri con essa (modo oggetto). Le implicazioni a livello terapeutico riguardano il diverso modo di approcciarsi alle esperienze interne: mentre nella TCC si interviene sui contenuti del pensiero e delle credenze, partendo dal presupposto che siano distorte e che vada quindi sfidato il loro grado di accuratezza e di veridicità; nella MCT non si entra nel merito dei significati che la persona dà alle proprie esperienze interiori e non si cerca di modificare il grado in cui ci crede, ma si lavora sulla modifica dei processi implicati nel relazionarsi ad esse, indipendentemente dal loro grado di accuratezza. L’unica eccezione vale esclusivamente per la confutazione delle credenze metacognitive positive e negative.
Alla base della Terapia Metacognitiva (MCT) vi è il modello dell’Autoregolazione delle Funzioni Esecutive (Self-Regulatory Executive model, S-REF; Wells, 2009). Tale modello spiega i fattori coinvolti nel mantenimento della sofferenza emotiva presente nei disturbi psicologici.
I processi cognitivi implicati si sviluppano su tre livelli integrati tra loro:
- Un livello di elaborazione automatica e profonda;
- Un livello di processamento dell’informazione conscio denominato stile cognitivo;
- Un sottosistema di credenze o piani di natura metacognitiva.
Secondo l’approccio metacognitivo le persone tendono a rimanere “incastrate” all’interno di disturbi psicologici a causa dell’attivazione di un particolare pattern di risposta alle esperienze interne, il CAS (Cognitive Attentional Syndrome), ovvero processi di elaborazione dell’informazione cognitiva caratterizzate da rimuginio, ruminazioni eccessive, bias attentivi che incrementano il fenomeno di “monitoraggio della minaccia” e strategie di coping disfunzionali.
Il CAS deriva direttamente da conoscenze di natura metacognitiva e nello specifico dipendono da due domini di contenuto:
– le credenze metacognitive positive riguardanti l’utilità di impegnarsi nei processi implicati nel CAS (es. “Se mi preoccupo sarò pronto”; “Focalizzarmi sulla minaccia mi permette di sentirmi al sicuro”; “Devo contrastare i miei pensieri o commetterò un errore”).
– le credenze metacognitive negative inerenti l’incontrollabilità, la pericolosità, l’importanza ed il significato attribuito ai pensieri o alle emozioni (es. “Non ho il controllo sui miei pensieri”; “Se sono in ansia, allora sono davvero in pericolo”).
Il CAS contribuisce quindi allo sviluppo e al mantenimento dei disturbi psicologici. Nella terapia metacognitiva sono quindi le componenti principali del CAS a diventare focus del trattamento. Al contrario della TCC classica, i pensieri automatici negativi sono dei semplici eventi mentali che fungono da stimoli di innesco per modalità di elaborazione disfunzionali, le quali sono responsabili dei disturbi psicologici e quindi oggetto dell’intervento. Il rimuginio ad esempio, viene descritto come una catena di pensieri negativi in forma preminentemente verbale, che mira alla soluzione di problemi (Wells, 2009) ed è orientato prevalentemente al futuro e all’anticipazione di potenziali minacce; mentre la ruminazione è una forma di pensiero ricorrente in particolar modo focalizzata sul passato e sulla ricerca di significato. Esse si presentano come strategie di coping volontarie e ripetitive in risposta a pensieri ed emozioni negative. Entrambi gli stili di elaborazione delle esperienze interne aumentano di fatto l’evitamento delle stesse, la focalizzazione sugli aspetti problematici o negativi e la normale elaborazione cognitiva ed emotiva degli eventi interni.
Un’altra componente del CAS, su cui interviene la terapia metacognitiva, è il “monitoraggio della minaccia”, che aumenta l’attenzione verso il pericolo e l’emozione negativa sperimentata e mantiene attivo il meta-sistema di credenze e di piani attivi ad un livello metacognitivo. Inoltre, impedisce che il processo di abituazione si verifichi grazie ad una normale esposizione della persona ai propri eventi interni.
Infine, le strategie comportamentali disfunzionali come i tentativi di controllo del pensiero (es. soppressione del pensiero), l’evitamento esperienziale o altre strategie di autoregolazione emotiva non consentono alla persona di sviluppare strategie di coping più adattive, ma rinforzano un senso di minaccia rispetto al fronteggiamento di situazioni, cognizioni ed emozioni.
L’assessment utilizzato nella terapia metacognitiva si differenzia dal modello A-B-C classico alla base della terapia cognitivo-comportamentale standard, caratterizzato da un antecedente (A), il pensiero o la credenza distorta o irrazionale (B) e le conseguenze a livello emotivo e comportamentale (C). Il modello proposto dalla terapia metacognitiva viene denominato A-M-C e consiste in un evento interno come antecedente (A), le meta-credenze positive o negative e i processi implicati nel CAS (M) e le conseguenti risposte emotive (C). L’obiettivo a cui è volta questa analisi è rimuovere il CAS grazie anche alla modifica delle credenze metacognitive che lo sostengono.
Il terapeuta metacognitivo deve così potersi muovere all’interno dei diversi livelli di elaborazione, differenziando i pensieri o le credenze “di base” dalla metacognizione, individuando i processi implicati nel CAS e aiutando il paziente a diventare più consapevole degli stili di pensiero disfunzionali e quindi dei processi maladattivi messi in atto. Mentre nel caso della terapia cognitivo-comportamentale l’intervento è volto a lavorare ad un livello cognitivo (modo oggetto) e mira a confutare il contenuto delle credenze riesaminando le prove contrarie e modificando le distorsioni cognitive presenti, nell’approccio di terapia metacognitiva l’obiettivo ultimo è quello di passare ad un livello metacognitivo (modo metacognitivo) modificando le modalità con le quali la persona risponde alle proprie preoccupazioni e più in generale ai propri eventi interni, con lo scopo di incoraggiare l’individuo a prendere le distanze da essi, confutando in questo caso le credenze metacognitive sulla preoccupazione stessa o sull’attività metacognitiva maladattiva.
La terapia metacognitiva (MCT) promuove alcune tecniche metacognitive come la Detached Mindfulness (DM), il training attentivo (ATT), la Rifocalizzazione situazionale dell’attenzione (SAR) per intervenire sul CAS e sui processi coinvolti; il dialogo socratico metacognitivo utilizzato per l’identificazione del CAS, l’individuazione e confutazione delle credenze metacognitive ed infine l’esposizione condotta a livello metacognitivo.
Il punto nodale di questo approccio viene rappresentato dal modo in cui il soggetto reagisce, valuta e fronteggia -più o meno consapevolmente- gli eventi mentali e ciò che sembra assumere rilievo all’interno del trattamento è creare un modello metacognitivo più funzionale di risposta alle proprie cognizioni.
La terapia metacognitiva (MCT) è sostenuta da numerosi studi che ne hanno mostrato l’efficacia in una varietà di disturbi clinici ed in particolare per il disturbo d’ansia generalizzato (DAG), la Fobia Sociale, il PTSD, il DOC e il Disturbo Depressivo Maggiore (DDM).
Wells, A. (2009). Metacognitive therapy for anxiety and depression. New York: Guilford. Trad. it. Terapia Metacognitiva dei Disturbi d’Ansia e della Depressione. Firenze; Eclipsi