La vergogna è un’emozione che ricade nell’insieme di quelle che sono state definite emozioni secondarie. Queste emozioni a differenza di quelle primarie (rabbia, paura, tristezza, gioia, sorpresa, disprezzo, disgusto) sembrano svilupparsi grazie all’interazione.
La vergogna in effetti per essere provata richiede la presenza fisica o mentale di un gruppo di riferimento o, almeno, di regole interne di comportamento a cui attenersi. In generale, la vergogna è definita come un’attivazione emotiva improvvisa legata all’essere esposti al giudizio negativo dagli altri.
Come funziona la vergogna
Secondo l’approccio psico-evoluzionista, cioè quella branca della psicologia che adotta la teoria evoluzionistica di Darwin come chiave di lettura per spiegare i processi psicologici, l’emozione di vergogna si è sviluppata al fine di garantire la permanenza dell’individuo all’interno del proprio gruppo sociale di riferimento.
In generale, la spinta dell’essere umano a presentare agli altri un’immagine positiva di sé ha giocato un ruolo fondamentale nell’evoluzione della nostra specie. Essere ben accetti dal proprio gruppo significava garantirsi l’accesso a risorse altrimenti inarrivabili singolarmente. La vicinanza dell’altro non solo garantisce beni materiali, ma permette di soddisfare bisogni psicologici fondamentali come quello di sicurezza, di regolazione emotiva e di autostima. È chiaro, quindi, come mantenere una buona immagine di sé nella mente dell’altro sia una priorità per l’essere umano.
L’emozione di vergogna sembra essere connessa al mantenimento di tale immagine, fungendo da segnale interno che indica quando la nostra immagine sociale potrebbe essere minacciata.
Nel momento in cui questa immagine è messa in discussione e la persona percepisce una minaccia al modo in cui è visto dagli altri, il cervello attiva un insieme di reazioni fisiologiche nel corpo che portano ad uno stato caratterizzato cui attribuiamo appunto il nome di vergogna.
Parallelamente alle sensazioni corporee lo stato di vergogna favorisce l’emergere di pensieri ed immagini mentali centrati sul tema del rifiuto da parte dell’altro fino ad arrivare al vero e proprio attacco in quanto ritenuti deboli e difettosi (Gilbert, 2000, 2002). La persona che prova un’intensa vergogna indugia in pensieri in cui la propria immagine sociale è irrimediabilmente compromessa ed è convinta che sarà ritenuta manchevole in termini di abilità, talento o gradevolezza estetica (Gilbert, 1997).
La funzione della vergogna, tuttavia, non si esaurisce nella sua capacità di segnalare una minaccia all’immagine sociale, ma similmente alle altre emozioni motiva ad azioni che possano ridurre tale minaccia. In tal modo, lo stato di vergogna attiva un insieme di comportamenti volti a comunicare all’altro sottomissione e pacificazione con lo scopo di ristabilire la relazione.
Alcuni esempi di questi comportamenti sono l’abbassamento della testa, l’evitamento del contatto oculare, la fuga o la spinta a nascondersi. Queste azioni sono finalizzate ad interrompere una possibile escalation o a disinnescare un conflitto interpersonale che vedrebbe la persona vittima di rifiuto sociale e quindi esclusione (Gilbert & McGuire, 1998; Gilbert, 2002).
Le esperienze di vergogna si caratterizzano per essere situazioni in cui la persona è stata criticata, rifiutata, esclusa o ignorata dagli altri. Tali esperienze sono elaborate a livello cognitivo e portano alla costruzione di un’idea di se stessi come non attraenti, indesiderabili, difettosi o non amabili (Gilbert, 1998, 2003). Alcuni esempi di tali esperienze possono essere sentirsi dire: “Penso tu sia meglio di così”, “Se ingrassi non troverai nessuno che ti ami”.
La letteratura mostra come quando nelle relazioni c’è una assenza di calore e sicurezza oppure un’alta dose di minaccia, vergogna o sottomissione esse possono portare a un sottosviluppo del sistema emotivo che regola le emozioni positive risultando così in comportamenti di sottomissione basati sul timore del rifiuto.
Gli esseri umani, in qualità di mammiferi, posseggono la capacità e la spinta evoluzionisticamente determinata all’attaccamento e alla protezione della prole. Questa spinta trova una risposta simmetrica e complementare nella tendenza della prole prima e dell’adulto poi, a rispondere positivamente a segnali sociali e fisici di vicinanza, cura e affetto. Alcuni autori hanno ipotizzato che tali segnali attivino un particolare sistema di regolazione emotiva chiamato “Sistema affiliativo”.
La capacità di utilizzare e attivare tale sistema si sviluppa durante l’infanzia grazie alle interazioni positive, sicure e validanti con le figure significative di riferimento. In tal modo la persona sviluppa memorie e abilità di regolazione emotiva che lo faranno sentire fiducioso e capace di gestire le proprie emozioni (compresa la vergogna). Qualora tuttavia tali esperienze non siano state fatte, il sistema di affiliazione sembra essere stato incapace di svolgere la sua funzione tranquillizzante nell’individuo adulto.
Bambini insicuri si rappresentano gli altri come minacciosi diventando estremamente attenti al rango sociale focalizzando l’attenzione sulla possibilità che gli altri li controllino, li feriscano e li rifiutino. In tale contesto una volta cresciuti svilupperanno delle strategie difensive volte all’auto criticismo per prevenire attacchi e rifiuti sociali, risultando così adulti ipersensibili alle esperienze di vergogna.
Tipologia di vergogna
Ad oggi sono state individuate due tipologie di vergogna che, per quanto interagenti, cercano di spiegare la complessità dell’esperienza emotiva provata quando l’essere umano si vergogna.
Vergogna esterna: essa è originata da pensieri e immagini di noi stessi nella mente dell’altro. Essa si lega all’idea che gli altri ci vedano negativamente (non attraenti, rifiutabili, deboli) e provino verso di noi sentimenti di rabbia e disprezzo. Quando l’emozione di vergogna esterna si attiva, il mondo viene rappresentato come minaccioso favorendo l’emergere di comportamenti protettivi simili a quelli accennati precedentemente, come l’evitamento, il ritiro e la fuga. L’attivazione della vergogna esterna sembra connessa ad una disregolazione momentanea della capacità di elaborare le informazioni provenienti dall’esterno risultando nell’esperienza comune di vuoto mentale. Il focus è sui contenuti presenti nella mente dell’altro rispetto a se stessi.
Vergogna interna: questo tipo di vergogna riguarda come la persona vede sé stessa alla luce dei suoi stessi occhi. Ha le sue radici nello sviluppo dell’autoconsapevolezza e nelle valutazioni che la persona ha rispetto al proprio modo di essere. La persona si ritiene inadeguata, cattiva, manchevole o difettosa; tende all’autosvalutazione e all’autocritica. La persona diventa il suo stesso giudice svolgendo la funzione che gli altri hanno nell’emozione di vergogna esterna.
Risulta chiaro come le due tipologie di vergogna siano largamente sovrapponibili e possano interagire rinforzandosi reciprocamente. In particolare la vergogna interna sembra essere un meccanismo innato che permette di proteggersi da quella esterna.
Nel momento in cui la persona si trova in situazioni che potrebbero ledere l’idea che gli altri hanno di lei si attiverebbe la vergogna esterna che per essere gestita favorirebbe l’emergere di vergogna interna in modo da tutelare la persona da azioni o comportamenti ridicoli. Infatti meglio essere duri con se stessi e proteggersi che essere esposti al ridicolo dinanzi agli altri.
Tuttavia, se sul breve periodo tale strategia risulta efficace, l’effetto secondario è quello di costruirsi un mondo esterno minaccioso e un mondo interno aggressivo, ostile e svalutante. Sotto tale tipo di minaccia (esterna e interna) la persona si sente sovraccarica e impotente, incapace di trovare un posto sicuro dove potersi rifugiare.
A quel punto la stessa emozione di vergogna e la sensazione di inferiorità diventano oggetto di attività ruminativa che si associa a sintomi depressivi.
Vergogna e psicopatologia
La vergogna si associa ad alcuni sintomi psicopatologici, in particolare disturbi alimentari, ansia sociale, depressione, disturbo da stress post-traumatico.
La tendenza eccessiva ad essere soggetti a sentimenti di vergogna è stata identificata come risultato di un’idea di se stessi negativa che è stata internalizzata attraverso le prima esperienze sociali.
Per quanto la vergogna sia concettualizzata come un’emozione adattiva in quanto promuove comportamenti prosociali, la sua forma disposizionale, quindi la tendenza cronica ad esperire vergogna, si è mostrata associarsi con comportamenti maladattivi, rabbia e aggressività.
Secondo Lewis, la rabbia si attiverebbe come risposta difensiva e reattiva alle sensazioni di vergogna. Grazie alla reazione rabbiosa diretta verso gli altri la persona acquisisce un parziale senso di controllo e sollievo rispetto alla minaccia di rifiuto sociale derivante dall’esperienza di vergogna. La vergogna servirebbe come segnale per comunicare a noi stessi che è presente una minaccia al proprio status sociale.
In tal senso sono due le possibili risposte: accettare il nuovo status sociale inferiore comunicandolo con espressioni verbali e non verbali di sottomissione oppure tentare di mantenere il proprio status aumentando l’attrattività sociale o attraverso comportamenti aggressivi e rabbiosi.
Nonostante la vergogna sia un’emozione adattiva e fondamentale per lo sviluppo individuale, la letteratura ha sottolineato come quando essa diventa un’emozione persistente e dominante all’interno della vita dell’individuo porti a risultati maladattivi e pervasivi (Gilbert, 1998; Kaufman, 1989; Lewis, 1992; Mills, 2005; Schore, 1998), meritando attenzione clinica e un conseguente intervento psicoterapeutico volto a comprenderne le origini e a ridurne l’intensità.