La Acceptance and Commitment Therapy, semplificata nell’acronimo ACT (che si pronuncia come un’unica parola) è una delle terapie di terza ondata della terapia cognitivo-comportamentale basata sulla mindfulness e sui processi di accettazione.
Al cuore dell’ACT c’è la concezione che la sofferenza psicologica sia solitamente causata dall’interfaccia tra linguaggio, cognizione e controllo dell’esperienza diretta. Secondo il modello Acceptance and Commitment Therapy, l’inflessibilità psicologica, cioè il repertorio di comportamenti disfunzionali, sarebbe il frutto di strategie di evitamento dell’esperienza interna (come pensieri ed emozioni disturbanti), di fusione con i propri pensieri (fusione cognitiva), della perdita di contatto con il momento presente e del risultante fallimento nell’intraprendere i necessari passi comportamentali in accordo con i propri valori personali. L’ACT, basandosi su ricerche sui processi linguistici di base (basate su una teoria del linguaggio e della cognizione umana chiamata Relational Frame Theory, RFT), sostiene che il linguaggio intrappoli le persone dentro inutili tentativi di combattere contro la sofferenza interiore, e che tentare di cambiare direttamente pensieri ed emozioni che creano difficoltà sia una modalità controproducente di coping.
L’obiettivo della Acceptance and Commitment Therapy (ACT) è quindi quello di incrementare la flessibilità psicologica che è il punto centrale dell’hexaflex, o esagono della flessibilità psicologica, il modello concettuale psicopatologico e clinico su cui si fonda l’ACT stessa. Le componenti implicate nella flessibilità psicologica sono in primo luogo l’accettazione, intesa come disponibilità ed apertura all’esperienza emotiva e cognitiva, anche se disturbante, in modo che il bisogno di evitamento di questa non influenzi le scelte comportamentali. Un’altra importante componente dell’hexaflex della Acceptance and Commitment Therapy è la defusione, che rappresenta il disancoraggio e il distanziamento dai nostri stessi pensieri e dalla sofferenza che essi generano, coltivando l’abilità di lasciarli andare e venire. Il contatto con il momento presente implica orientare in modo consapevole (mindful) la propria attenzione non giudicante al qui ed ora senza essere traportati nel passato dai ricordi o nel futuro dalle preoccupazioni. Il sé come contesto è il termine tecnico con cui la Acceptance and Commitment Therapy (ACT) identifica un processo di riconoscimento di se stessi che va al di là del contenuto dei propri pensieri, eliminando le etichette legate alle proprie esperienze passate e promuovendo un atteggiamento osservante. Un elemento chiave dell’ACT è l’accento posto sui valori personali, intesi come le direzioni di vita ritenute importanti, motivazioni all’azione e qualità desiderate. Chiarendo i propri valori ogni azione impegnata, altra componente della flessibilità psicologica, assume un significato più ampio di disponibilità ad impegnarsi per raggiungere mete significative per la nostra vita, nonostante questo possa portare alla comparsa di emozioni di disagio o sofferenza.
La Acceptance and Commitment Therapy (ACT) promuove questi meccanismi attraverso un uso funzionale del linguaggio: usando metafore, paradossi, esercizi esperienziali e tecniche di mindfulness il terapeuta guida i pazienti ad instaurare un contatto sano con quei pensieri, sentimenti ed emozioni che sono state fino a quel momento temute o evitate. Si impara quindi a ricontestualizzare ed accettare gli eventi interni, sviluppando una maggiore consapevolezza verso i propri valori personali e impegnandosi nei cambiamenti comportamentali necessari.
La Acceptance and Commitment Therapy (ACT), nella migliore tradizione delle psicoterapie cognitivo-comportamentali è sostenuta da numerosi studi clinici e di base, che ne dimostrano l’efficacia in una varietà di disturbi clinici come i disturbi dell’umore, i disturbi d’ansia, le dipendenze da sostanze e anche i disturbi psicotici. Non ultimo il grande apporto che questo approccio fornisce in casi di dolore cronico, fibromialgia, malattie croniche come il diabete, o in situazioni di stress lavoro correlato.