Nonostante vi sia una significativa mole di ricerca sulla resilienza, esiste comunque un accordo limitato su una singola definizione della stessa. Il termine è stato preso in prestito dalla scienza dei materiali, i quali avrebbero la capacità di sopportare gli urti e mantenere la propria struttura dopo essere stati esposti a pressioni o deformazioni.
In psicologia il costrutto viene definito in vari modi. Richardson e colleghi (1990) hanno definito la resilienza come “il processo di fronteggiamento di eventi di vita stressanti, traumatici, o eventi che rappresentano sfide per il soggetto, in modo tale da fornire strategie di coping e abilità protettive aggiuntive rispetto al momento precedente alla ‘rottura’ causata dall’evento stesso”.
Similmente, Higgins (1994) descrive la resilienza come “il processo di crescita e ripresa del sé”, mentre Wolins (1993) la definisce come “la capacità di recuperare, di resistere alle difficoltà e di ‘riparare’ se stesso”.
La resilienza è comunemente spiegata e studiata nel contesto di due costrutti dimensionali: l’esposizione alle avversità e l’adattamento positivo a tali avversità (Luther & Cicchetti, 2000). La resilienza è stata recentemente studiata a livello psicologico, biologico, e sociale e include un’interazione di caratteristiche individuali e ambientali (Almedon & Glandon, 2007; Smolka et al., 2007).
Anche se è complesso determinare esattamente come i fattori biologici, genetici e ambientali interagiscono per determinare il livello di resilienza di ogni individuo, ci sono dati psicologici supportati da evidenze neurologiche a sostegno dell’ipotesi che le persone possano essere relativamente ad alta o bassa resilienza (Waugh, Wager, Fredrickson, Noll & Taylor, 2008).
Una ricerca ha mostrato come le persone maggiormente resilienti, quando esposti a situazioni stressanti, ritornano a condizioni cardiache e neurologiche basali prima di quelle con bassa resilienza (Tugade & Fredrickson, 2004; Waugh et al.). Al contrario, i partecipanti con bassa resilienza hanno reagito agli stimoli stressanti, come ad esempio minacce o potenziali minacce, prima e per periodi di tempo più lunghi, come indicato dall’attività rilevata nelle aree dell’amigdala e insulari del cervello (Waugh et al., 2008).
Sebbene siano stati compiuti molti progressi nel campo della ricerca sulla resilienza, non è ancora stato trovato un insieme omogeneo e definitivo di fattori di rischio o di protezione (Hoge et al, 2007). Questi fattori costituirebbero variabili in grado di aumentare o diminuire la probabilità di una varietà di risultati positivi o negativi in risposta ad avversità.
I fattori di rischio sono spesso definiti come fattori ambientali che hanno spesso origine nell’infanzia e talvolta si trovano all’estremo opposto dei fattori protettivi (ad esempio forti abilità sociali vs scarse abilità sociali; attaccamento sicuro contro attaccamento insicuro).
I principali fattori protettivi nella ricerca sulla resilienza sono costituiti da: uno stile di attaccamento sicuro e un rapporto sano con un adulto significativo durante l’infanzia, il temperamento (McAdam-Crisp, 2006), il locus di controllo interno (Hemenover, 2003; Keltner & Walker, 2003), il senso di coerenza (Hart et al., 2006;), e infine fattori biologici e genetici (Hoge et al., 2007; Kim-Cohen, 2007; Smolka et al., 2007). I fattori che determinano un più alto livello di resilienza sono quindi caratterizzati da:
- il supporto di relazioni sicure volte a promuovere fiducia e sicurezza;
- una percezione di sé positiva e consapevole delle proprie risorse e abilità;
- una buona capacità comunicativa e di problem solving;
- la tendenza a porsi obiettivi e programmare le fasi e le strategie per raggiungerli;
- la capacità di disciplinare i propri stati mentali (emozioni, pensieri, impulsi).
Tuttavia strumenti sulla resilienza sono stati sviluppati solo poco tempo fa, rendendo molto difficile generalizzare i risultati o confrontare gli studi (Fribourg et al., 2005).
Ad ogni modo la resilienza costituisce un processo psichico fondamentale che permette di riadattare la propria vita in modo positivo davanti ad eventi difficili e di “rimbalzare” davanti ad esperienze dolorose. È una funzione che varia nel tempo e in base all’esperienza soggettiva degli individui e ai meccanismi mentali soggiacenti.
Le persone più resilienti mostrano un maggior impegno e coinvolgimento nelle attività; un maggior controllo, ovvero la sensazione di poter gestire gli eventi senza esserne travolti e la fiducia di poterli dominare ed infine la predisposizione per le sfide e la tendenza ad accettare il cambiamento. Tali caratteristiche possono essere sviluppate nel tempo ed essere quindi apprese da qualsiasi individuo.
Una tecnica per incrementare la resilienza è costituita dal ricercare nel passato esperienze in cui risorse e punti di forza sono stati messi in atto e sperimentati attivamente.
In conclusione si può affermare che sviluppare un buon livello di resilienza non significa essere infallibili o intoccabili rispetto agli eventi stressanti esperiti, ma significa non essere sopraffatti da essi ed essere disponibili ad accettare gli eventuali errori e a cambiare, laddove è necessario, per sviluppare infine, un adattamento alla vita più positivo.
Bibliografia
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