Praticare sport da sempre è considerato un elemento di mantenimento dello stato di salute non solo fisica ma anche psicologica.
Fin dalle scuole primarie si prevede la pratica settimanale dell’educazione fisica, nella quale veniamo abituati al gioco di squadra, alla prestazione fisica “competitiva”, alla presenza di regole prestabilite a cui adeguarsi all’interno del campo di gioco.
Crescendo, lo sport rimane il momento di condivisione con gli amici, di discontinuità dalla vita spesso sedentaria, di esplorazione di “nuovi territori” o di puro e semplice svago con una rosa di attività da poter svolgere ed alle quali appassionarsi molto ampia all’interno della quale ognuno trova la cosa che più si addice alle proprie attitudini.
Molti sono i fattori che portano ad appassionarsi ad uno sport piuttosto che ad un altro, non ultimi i tratti personologici e le credenze ad essi collegate. Ad esempio, tra le tante attività ci sono i cosiddetti sport estremi che secondo alcune ricerche attirano soggetti con caratteristiche ben definite. Per sport estremi si intendono “attività competitive entro le quali il partecipante è sottoposto a sfide fisiche e mentali ‘inusuali’, come l’adattamento alla velocità, all’altezza, alla profondità o alle forze naturali e dove sono richieste rapide e precise elaborazioni percettivo-cognitive”.
Molti sono gli sport annoverati nella categoria “estremi”, il paracadutismo, lo sci fuoripista, il base-jump e così via; tutti hanno come caratteristica l’assunzione consapevole di rischi più o meno gravi nel praticarli. Questo tipo di attività è stato per molto tempo considerato solo appannaggio di persone motivate dal bisogno di adrenalina, con scarsa tolleranza nei confronti della noia e caratterizzate da cinismo, noncuranza del pericolo, impulsività ed egocentrismo.
Zuckerman aveva individuato un tratto personologico accomunato ai praticanti di sport estremi: il sensation seeking (letteralmente: alla ricerca di sensazioni). Questo tratto viene definito come “la ricerca di sensazioni ed esperienze diverse dalla norma, nuove, complesse e intense e la disponibilità ad assumersi rischi, fisici, sociali, legali e finanziari per raggiungere tale esperienza”.
Ovviamente questo tratto ha anche altre implicazioni, soprattutto sociali, ma come già detto è stato spesso associato a coloro che si cimentano negli sport estremi, connotandoli come devianti da una regola che vorrebbe la normalità nell’evitamento del rischio.
Più recentemente, tuttavia, le ricerche si sono orientate ad esplorare gli effetti positivi degli sport cosiddetti estremi o di attività considerate rischiose, sia nel breve che nel lungo termine. Coloro che prendono parte ad attività sportive avventurose riportano migliori qualità di vita, capacità di regolazione emotiva, competenze interpersonali, capacità di fronteggiamento di emozioni come la paura e sensazioni cinestetiche piacevoli.
La paura elicitata dal rischio, solitamente evitata in altri contesti, diventa parte dell’esperienza contribuendo a sviluppare una diversa disponibilità nei confronti delle emozioni disturbanti e ad apprendere nuove consapevolezze su se stessi. Il rischio insito nella pratica di certe attività provoca ovviamente discomfort, percepito ma non evitato, aumentando le capacità di resilienza e la fiducia nelle proprie risorse. Questo porta a sviluppare una maggior tenacia nei processi decisionali e una disponibilità nei confronti di sfide e di situazioni potenzialmente ansiogene.
Si elicita inoltre uno stato mentale di completo coinvolgimento con il momento presente (mindful), che sappiamo essere connesso a una serie di benefici psicologici e che le ricerche ci raccontano correlare positivamente con la pratica di attività sportive avventurose.
Un altro elemento da non sottovalutare è l’ambiente in cui tali attività vengono solitamente svolte. Che si tratti di paracadutismo o kitesurf, deltaplano o apnea uno degli elementi preponderanti è sicuramente il contatto con “l’aria aperta”. Sappiamo già che il contatto con ambienti naturali ha effetti estremamente positivi sull’umore e sulle funzioni cognitive, ma ne ha anche sul benessere fisico e sviluppa ulteriori risorse nel momento in cui lo sportivo si trova a dover affrontare delle sfide che prevedono la gestione di elementi ambientali.
Non ultimo l’aspetto interpersonale. Spesso negli sport ad alto rischio, per quanto possa esserci competizione se di gara si tratta, l’altro non è visto come uno sfidante ma spesso come un compagno d’avventura con il quale cooperare per ridurre i rischi e godere dei benefici dell’attività. In una società che promuove sempre di più attività “sicure” e fisicamente poco impegnative, dove la salute passa spesso per il controllo di determinati fattori piuttosto che per la sperimentazione di nuove sfide ed esplorazioni, gli sport estremi possono quindi essere una risorsa anche educativa di approccio alla vita quotidiana.
Peter Clough, Susan Houge Mackenzie, Liz Mallabon, Eric Brymer. Adventurous Physical Activity Environments: A Mainstream Intervention for Mental Health Sports Med (2016) 46:963–968
Brymer E., Schweitzer R. Extreme sports are good for your health: a phenomenological understanding of fear and anxiety in extreme sport. J Health Psychol. 2013 Apr;18(4):477-87.