Ricorre in questi giorni il 50esimo anniversario dell’ultima delle grandi offese portate dall’Arno, nei secoli, a Firenze.
I ricordi e le emozioni tornano scorrendo vividi e in rapida successione nelle immagini e nelle parole, a tratti ancora incrinate dalla commozione, dei testimoni di quella catastrofe e di chi è stato chiamato o volontariamente è accorso a intervenire per salvare la città, i suoi abitanti e le sue opere d’arte.
E “L’alluvione delle emozioni, 50 anni dopo” è il titolo del convengo tenutosi a Firenze in apertura del ciclo di commemorazioni e subito è stata focalizzata l’attenzione sul ruolo della psicologia nell’elaborazione del trauma.
L’alluvione è un evento tragico, che lascia i segni indelebili delle emozioni profonde nella vita interiore di chi si trova a viverla, così come accade per altri grandi eventi traumatici e disastri naturali.
Nel convegno ci si è occupati dell’alluvione che colpì Firenze e la Toscana nel 1966 proprio guardando alle conseguenze emotive nelle persone che si trovarono a vivere quel cataclisma.
La difficoltà di gestire il disturbo post-traumatico (PTSD), il ricordo del trauma, la paura, le straordinarie capacità e l’incessante lavoro degli “angeli del fango” e la capacità di rielaborare.
Si è fatto in modo particolare riferimento al trattamento EMDR, come percorso di psicoterapia che lavora su diverse psicopatologie e problemi legati sia ad eventi traumatici che ad esperienze più comuni ma emotivamente stressanti e alle sue applicazioni nei contesti di emergenza e in età evolutiva.
Da anni infatti, dietro le quinte di eventi catastrofici, conflitti bellici e gravi emergenze in Italia e nel modo, lavorano psicoterapeuti specializzati nel trattamento EMDR, che ha inaugurato una nuova dimensione della psicoterapia, agendo sul ricordo del trauma con un metodo terapeutico specifico di stimolazione bilaterale alternata dei movimenti oculari che risulta particolarmente rapida ed efficace.
I movimenti oculari dell’Emdr, simili a quelli del sonno Rem, e quindi del tutto naturali, riattivano la capacità di autoguarigione del cervello, che trova le risorse per metabolizzare l’evento traumatico.
Le neuroscienze sono oggi in grado di mostrarci come nelle persone con una storia di trauma psichico sono presenti alterazioni patologiche tipiche a carico di alcune strutture cerebrali: la corteccia frontale, che non esercita più la sua fisiologica inibizione sull’amigdala, la quale per questa ragione è iperattiva e contiene informazioni non processate; l’ippocampo; il cingolo anteriore e posteriore e l’insula.
Con il miglioramento delle tecniche di rilevazione neuro-fisiologica è stato anche possibile indagare il funzionamento e l’efficacia degli interventi terapeutici. Da una meta-analisi di numerosi studi sull’argomento ne sono uscite “vincenti”, per quanto riguarda il trattamento per il PTSD, la terapia cognitivo-comportamentale focalizzata sul trauma e l’EMDR.
Proprio sull’EMDR numerosi sono stati gli studi di efficacia che hanno preso in considerazione i substrati neurobiologici e tutti hanno messo in evidenza una normalizzazione dell’attività cerebrale associata con una remissione dei sintomi tipici del PTSD.
Il dott. Pagani dell’Istituto di Scienze della Cognizione ha pubblicato nel 2012 un interessantissimo studio condotto dal CNR in cui l’efficacia del trattamento EMDR è stata testata mediante la misurazione elettroencefalografica in un contesto “ecologico”, ovvero nello studio del terapeuta durante la seduta, riducendo al minimo l’invasività dello strumento di misurazione.
Il dato interessante che emerge da questa indagine è l’andamento dell’attivazione cerebrale durante la terapia: nel corso della prima seduta si attivano le regioni del trauma a valenza emotiva (aree visive e area limbica del cervello) accompagnate da sensazioni molto disturbanti; nella fase intermedia del trattamento si attivano regioni diverse, con valenza cognitiva, e la sensazione disturbante diminuisce; durante l’ultima seduta si attivano regioni cerebrali (frontali e temporo-parietali) a valenza associativa, in cui tutte le informazioni sono elaborate e integrate e non si attivano più le regioni del trauma. In questa fase non sono più presenti le sensazioni disturbanti.
La corteccia prefrontale riacquista il suo ruolo inibitorio riducendo l’attivazione dell’amigdala, e in generale le anomalie cerebrali tipiche del PTSD mostrano una sorprendente inversione di tendenza in seguito al trattamento EMDR.
Questi risultati suggeriscono che l’elaborazione degli eventi traumatici si muove da aree che ‘sviluppano’ le immagini patologiche del trauma a regioni del cervello con un ruolo di tipo cognitivo e associativo, le cui attività permettono di regolare i ricordi dell’evento traumatico e di eliminare e controllare le emozioni negative a esso legato.
E così la ricerca continua a studiare e mostrarci il potenziale della psicoterapia e sopratutto del cervello umano nell’affrontare ed elaborare le sofferenze dei traumi a cui inevitabilemti siamo esposti nell’arco della nostra vita.
Per guarire, la nostra mente mette in campo le proprie risorse e gli eventi traumatici non vengono cancellati ma rielaborati in modo adattivo, permettendoci di andare avanti spesso con risorse aggiuntive di consapevolezza e capacità, che diventano una “crescita” post traumatica importante per poi affrontare altre difficoltà.
Per questo mai come in questo momento, in cui siamo colpiti da terremoti, guerre e grandi movimenti migratori di rifugiati, sta assumendo un ruolo sempre più riconosciuto ed importante un adeguato e validato intervento psicoterapeutico in caso di emergenze e disastri collettivi che colpiscono intere comunità, bambini, adulti, anziani, soccorritori e forze dell’ordine, che possa portare le persone e riacquisire la capacità di regolare le emozioni, ridurre ansia e rabbia.
Ciò che è successo non si può cambiare, ma il ricordo può essere trasformato liberando risorse preziose per la guarigione e il benessere della persona e della comunità.