In seguito alla sentenza della Corte Costituzionale del 9 Aprile 2014 che aveva definito “incostituzionale” il divieto alla fecondazione eterologa previsto in Italia dalla legge 40 del 2004 sulla Procreazione medicalmente assistita (PMA), si è riaperta la possibilità per molte coppie di poter accedere a questo tipo di tecnica senza doversi più rivolgere a centri esteri di PMA.
Le coppie che arrivano alla richiesta di Pma dopo un lungo periodo di “fallimenti generativi”, possono presentare conseguenze emotive e relazionali che rischiano di influire sull’accettazione e l’efficacia delle stesse procedure mediche.
Anche nell’ultimo congresso europeo della European Society of Human Reproduction and Embryology (Eshre) è stata ribadita l’importanza del counseling psicologico per le coppie e le donne che affrontano la fecondazione eterologa.
L’attività di consulenza riguarda tutti gli aspetti connessi alla Pma ed è suddiviso in tre momenti specifici:
• decisionale: che prevede, prima dell’inizio del trattamento, il sostegno e l’informazione su tutti i risvolti emotivi e relazionali della decisione di intraprendere un percorso di Pma
• di sostegno: accompagna la coppia nei momenti di difficoltà e di decisioni difficili durante la Pma
• terapeutica: si aiuta la coppia o il singolo a far fronte alle conseguenze negative della diagnosi di infertilità o l’eventuale fallimento del trattamento.
Ogni tecnica di procreazione medicalmente assistita comporta specifiche difficoltà psicologiche, relativamente al tipo di procedura medica utilizzata (più o meno invasiva), ai tempi del trattamento, all’alta frequenza dei controlli e alla probabilità di successo.
In generale, le coppie che arrivano a formulare domanda di procreazione medicalmente assistita hanno già vissuto frequenti delusioni e insuccessi nel periodo che precede la richiesta.
Già la legge 40/2004, alla luce di questo, prevedeva la presenza di un consulente psicologo nei centri di PMA e del personale medico che proponeva la possibilità di una consultazione psicologica.
L’intervento elettivo in ambito di infertilità risulta essere quello integrato, in cui la consulenza psicologica rappresenta parte fondamentale dei programmi diagnostico-terapeutici. Il lavoro in equipe con altri specialisti permette di intervenire ad hoc sul singolo individuo personalizzando e pianificando step by step l’iter da seguire.
Fornire sostegno psicologico prima, durante e dopo il trattamento, esplorare le ripercussioni emotive della condizione di sterilità, approfondire gli atteggiamenti verso la gravidanza, la nascita di un figlio e la genitorialità, sono i principali obiettivi della consulenza psicologica in ambito di infertilità.
Il supporto psicologico può facilitare l’elaborazione del lutto e la reinterpretazione della situazione quando l’intervento non ha buon esito e si debba accettare la possibilità di una vita senza figli. In questo contesto la consulenza psicologica non ha soltanto l’obiettivo di ridurre i livelli d’ansia e la frustrazione della coppia che arriva alla consultazione medica, ma può configurarsi come un utile strumento di prevenzione delle conseguenze psicologiche e psicosessuali.
L’esigenza di un’informazione accurata e di un sostegno psicologico emerge ancor di più nei casi di inseminazione artificiale eterologa, in cui le emozioni conflittuali si moltiplicano in relazione all’inserimento, nel processo generativo, di un donatore esterno.
La fecondazione eterologa consiste infatti nel ricorso a un donatore esterno di ovuli o spermatozoi nel caso in cui la coppia sia infertile; si differenzia, dunque, dalla fecondazione omologa in cui sia seme che ovulo provengono dalla coppia stessa.
La fecondazione eterologa pone nuove tematiche da affrontare per la coppia che deciderà di intraprendere questo percorso. L’accesso a “qualche cosa” che viene dall’esterno della coppia stessa, potrebbe necessitare un lavoro di elaborazione dell’elemento “estraneo”, che da una parte consentirà il raggiungimento dell’obiettivo, dall’altra sarà lì a ricordare la propria incapacità a generare, soprattutto per la persona che è risultata infertile.
É necessaria una profonda elaborazione da parte dei coniugi rispetto ai fattori psicologici implicati e la possibilità di analizzare le fantasie e le aspettative della coppia per riportare il bambino ideale sul piano della realtà, e fare i conti con gli aspetti fisici e caratteriali non completamente a carico del patrimonio genetico dei due genitori.
La scelta di avere dei figli, seguendo la strada della donazione di gameti (ovulo o spermatozoi), comporta il superamento di tanti dubbi che si pone in primis la coppia e poi i genitori nei confronti dei figli che verranno o che sono già nati.
Tra le principali preoccupazioni delle coppie che affrontano un percorso di fecondazione eterologa emerge la difficoltà a comunicare sulle origini al figlio, nato tramite una donazione di gameti. La questione delle origini assume un valore particolare in quelle famiglie che hanno concepito grazie alla riproduzione assistita.
Molto frequentemente, giunge il momento in cui le persone che hanno concepito i propri figli mediante la donazione di ovuli o di spermatozoi, si trovano di fronte a un grande dilemma: “come spieghiamo a nostro figlio quali sono le sue origini?”. In base ai risultati di vari studi condotti sugli effetti psicologici derivanti dal comunicare o meno questa circostanza al figlio, si giunge alla conclusione che non esistono decisione giuste o sbagliate.
Ai genitori che optano per non comunicare l’origine al bambino, si dà l’indicazione di fare lo stesso con i restanti membri della famiglia e con la cerchia di amici. In questo modo si cerca di evitare il rischio di venire a conoscenza delle proprie origini da parte di altri e di perdere la fiducia nei propri genitori. Chi invece decide di comunicarlo ai figli deve tenere presente che, secondo vari specialisti, sono state individuate delle fasce di età più opportune per affrontare questa questione.
Si raccomanda di agire quando sono piccoli, tra i tre e i cinque anni, oppure più avanti, quando hanno tra dieci e dodici anni, ma non più tardi. In entrambi i casi si chiede ai genitori di preparare il momento e di dare le spiegazioni pertinenti in modo semplice e naturale, sempre adeguandole al grado di maturità del figlio.
Negli anni sono aumentate le coppie che si sottopongono ad una inseminazione eterologa che sono orientate a rivelare la donazione al bambino mentre prima solo una piccola percentuale si sentiva di affrontare l’argomento; altre coppie sono intenzionate a rivelarlo alla maggiore età del figlio.
La maggior parte delle coppie che intende mantenere il segreto del donatore al figlio porta come motivazioni soprattutto il non volergli creare problemi e confusione tra la genitorialità genetica e quella sociale, affettiva, riconosciuta perché “è nostro e quindi perché dirglielo?”. Talvolta emerge il voler proteggere il bambino da eventuali discriminazioni familiari e/o sociali in quanto considerato figlio non geneticamente proprio.
Dietro però queste motivazioni spesso si nasconde il bisogno di tenere occultata la sterilità, perché si temono stigmatizzazioni familiari e sociali per l’infertilità e si nutre la paura che il figlio possa rimetterci in discussione e rifiutarci nel nostro ruolo genitoriale. Altri genitori decidono di tacere un trattamento di riproduzione assistita, perché l’hanno vissuto con dolore e temono di far trasparire questo sentimento quando ne parlano.
Da un punto di vista psicologico non si possono dare indicazioni assolute sull’opportunità o meno di rivelare le origini al figlio. In linea di principio il segreto ha una implicita dose di “velenosità” e di rischio.
Sarebbe, quindi, auspicabile che ci fosse una rivelazione al momento opportuno, graduale, chiara, che evita i non detti, le incomprensioni ed i rischi che magari possa scappare di dire qualcosa che squarcia il segreto in momenti di rabbia, di ira e di conflitto e con le conseguenze nefaste che ciò può produrre nel bambino o nell’adolescente che ascolta e subisce. Al contrario risposte chiare aiuteranno il bambino a costruire la propria personalità senza complessi né segreti.
Si può aprire il tema sulle origini anche a bambini di 4-5 anni perché a questa età il bambino si domanda già quale sia il suo posto nella storia della famiglia e vuole anche assicurarsi di essere frutto di una storia d’amore.
Naturalmente tutto deve essere spiegato in maniera semplice e adatta alla capacità di comprensione del figlio, magari supportandosi nel racconto con favole e immagini adatte. Se rimane il segreto si corre il rischio che il bambino pensi che è un motivo di vergogna. Di fatto un bambino nasconde le cose di cui si vergogna e tende a pensare che le cose che lo riguardano, e di cui i genitori non gli parlano mai, siano per forza imbarazzanti.
Da qui nasce la necessità di parlare chiaramente al bambino delle sue origini non appena inizia a porre domande. Bisogna evitare di imporre al bambino risposte a domande che lui non si pone, ma, al contempo, bisogna fare in modo che si senta libero di formulare tutte le domande che desidera. Indubbiamente però esiste anche un diritto al segreto, inviolabile, che nessuno ci può obbligare a svelare.
L’importante è il “come” si dice o come può essere tenuto il segreto perché sia una rivelazione motivata dall’angoscia e dal senso di colpa, sia un segreto ordinato dalla paura possano avere effetti negativi. E’ pertanto importante la qualità dell’elaborazione individuale e di coppia sia di voler mantenere il segreto che di rivelare come è stato concepito.
E’ bene ricordarsi che per il bambino è fondamentale sentire l’intensità e la qualità del desiderio d’averlo voluto concepire ed allevare poi con amore nonostante l’infertilità.
Il figlio ha bisogno di sentirsi frutto di un desiderio di amore e riconosciuto così durante la crescita per sviluppare ed integrare un positivo mondo affettivo interno e relazionale che sono le fondamenta per la sicurezza di base e per la propria identità.
Se così è, non è la conosciuta o meno parentesi del come, del gesto tecnico di una fecondazione eterologa, che può inficiare la potenza e la consistenza dei legami affettivi e della gratitudine verso i genitori che lo hanno voluto e riconosciuto come loro figlio.
Infine è bene tenere presente che spiegare ad un bambino che è un figlio nato dai loro genitori, ma senza il corredo genetico di uno di essi, può risultare davvero complicato e persino imbarazzante.
Al fine di essere supportati in questo delicato compito i genitori possono sempre rivolgersi ad uno psicologo-psicoterapeuta che si occupa di tematiche legate all’infertilità per ricevere le indicazioni e la consulenza specifica per il proprio caso.