La fine di un percorso di procreazione medicalmente assistita (PMA) può essere una fase critica per la coppia.
L’attesa genera ansia e paure a causa dell’impossibilità di prevedere e controllare il risultato. E’ un tempo carico sia di speranze sia di timori per un possibile fallimento.
La fine di un trattamento, quindi, è un momento delicato: coloro che si confrontano con un successo provano da una parte gioia e soddisfazione perché il desiderio di concepire un figlio si sta per avverare, ma dall’altra spesso vivono preoccupazioni eccessive durante la gravidanza e dopo la nascita del bambino.
Quando, invece, il trattamento non va a buon fine, la coppia è chiamata a confrontarsi nuovamente con un insuccesso che provoca sofferenza, la cui entità dipende molto dalla storia della coppia, dal tipo di personalità dei soggetti coinvolti e dal numero di tentativi falliti in precedenza.
Emerge, quindi, sempre più chiaramente la necessità di un intervento psicologico alla fine di un percorso di riproduzione medicalmente assistita, non solo in caso di fallimento, per elaborare il dolore della perdita e per facilitare la scelta successiva, ma anche in caso di successo, per supportare la coppia durante la gravidanza e prepararla a transitare verso la genitorialità.
Dagli anni ottanta si nota la tendenza a controllare e ritardare il momento del concepimento e a controllare ogni aspetto della crescita fetale e della salute materna, con un’enfasi sempre crescente sulla ricerca del bambino perfetto nel momento giusto.
La gravidanza dopo un’esperienza di infertilità è spesso vissuta come “gravidanza premio”: gioia, soddisfazione ma anche ansia e angoscia della perdita che rendono non solo la gravidanza, ma anche il periodo successivo alla nascita del figlio, particolarmente faticosi da affrontare e da gestire.
E’ un evento che coinvolge eccessivamente anche per i rischi che la contraddistinguono, poiché è stato impiegato un tempo lungo per ottenerla, è costata un investimento emotivo, un dispendio di energie fisiche e psichiche, ma anche economiche e mediche.
Si può trattare di una gravidanza multipla che comporta un andamento complicato, oppure si può verificare un parto ad alto rischio e, infine, il pericolo più temuto: la perdita della gravidanza stessa.
La brusca transizione da uno stato prolungato d’infertilità ad uno potenziale di genitorialità è un compito difficile perché richiede una rapida ridefinizione dell’identità e una ristrutturazione interna.
Deve essere considerata la veloce successione con cui la gravidanza arriva a termine rispetto ai lunghi anni di tentativi per ottenerla, e quindi l’identità dei pazienti deve adeguarsi in un tempo relativamente breve alla condizione di attesa di un figlio.
La difficoltà di queste donne a lasciarsi alle spalle l’esperienza dell’infertilità genera sentimenti ambivalenti e contrastanti. Le donne che hanno vissuto l’esperienza della difficoltà di concepire fanno fatica a distaccarsi da chi le ha seguite nel percorso di trattamenti per creare una nuova rete sociale di supporto e investire energie in una gravidanza che potrebbero anche perdere.
Con le coppie precedentemente infertili è quindi fondamentale effettuare un intervento terapeutico finalizzato a “normalizzare” la gravidanza: occorre perciò accompagnare la coppia nella transizione da uno stato di precedente infertilità e di vita senza figli a uno di gravidanza e, infine, di maternità.
Cogliere le differenze di una gravidanza dopo infertilità non esaspera la stigmatizzazione, ma anzi può aiutare nella normalizzazione e a integrare aspetti della propria identità. La normalizzazione di questo stato emotivo passa perciò attraverso una complessa riorganizzazione dell’identità, da donna infertile a donna incinta e infine madre.
Naturalmente tutto questo si complica ulteriormente quando la tecnica di riproduzione assistita è stata quella eterologa, e si nota che la difficoltà maggiore da superare non è imputabile allo stato di infertilità ma alle circostanze della riproduzione e al ricorrere alla donazione di gameti.
In gravidanza da procreazione medicalmente assistita emergono i seguenti aspetti:
- Paura della interruzione della gravidanza
- Timore di concepire un figlio “difettoso”
- Angoscia di avere una gravidanza a rischio
- Ambiguità dovuta al fatto di non sentirsi né infertile né gravida
- Difficoltà ad accettare di essere una paziente ostetrica (mentre prima era una paziente infertile)
- Senso di ambiguità nel legame con un feto concepito in laboratorio
- Senso di isolamento che queste coppie provano non riuscendo a sentirsi parte del mondo dei pazienti infertili ma neppure completamente capaci di riprodursi autonomamente
- Ansia eccessiva provata per le proprie capacità di gestire il percorso della gravidanza, il parto e i compiti genitoriali oltre che per la paura che gli altri scoprano come è avvenuto il concepimento
- Perdita della rete di supporto costruita con il personale che ha seguito la loro infertilità
Le reazioni alla gravidanza dopo un’esperienza di infertilità tendono a collocarsi tra due estremità.
Da una parte il diniego e l’evitamento (negazione/rifiuto): ci sono donne che negano la gravidanza, non seguono le prescrizioni mediche e non riescono a prestare le cure prenatali appropriate per diversi mesi.
Dall’altra parte ci può essere un atteggiamento ipervigile: si evidenzia uno stato di paura esagerata per ogni minimo e insignificante sintomo; sono donne che in preda a paure eccessive contattano in continuazione il medico per ricevere rassicurazioni circa l’evoluzione della gestazione.
L’ansia compare perché le donne vivono la gravidanza come un “periodo di attesa di una perdita”, un allarme per la possibile e imminente minaccia di aborto e la scarsa fiducia nella nascita del figlio.
Sono in costante allarme per un possibile segnale che annunci un aborto imminente, perché incapaci di credere di poter mettere al mondo un figlio. Se c’è stata una precedente perdita di gravidanza, l’ansia è notevolmente più alta in entrambi i partner e aumentano le difficoltà di fronteggiamento di ogni minimo problema, insieme a un senso di distacco emotivo.
In generale, le donne con alle spalle un’esperienza di infertilità tendono ad effettuare più controlli e sono più ansiose, depresse e arrabbiate con se stesse rispetto alle donne fertili. La storia di una donna infertile può essere anche la storia di una donna che ha subito molte perdite importanti nella vita, e quando si ottiene la gravidanza è facile idealizzarla e fare fantasie su un bambino che sarà perfetto o sull’essere una madre speciale.
Queste donne, inoltre, vivono e descrivono la gravidanza solamente in termini di esperienza gratificante e appagante, mentre negano le difficoltà psicologiche e fisiche di questo stato. In realtà vivono l’attesa del figlio con più difficoltà, appaiono meno interessate a documentarsi sulla nascita del bambino e sull’esperienza di genitorialità e sono meno predisposte a leggere o a partecipare ai corsi di preparazione alla nascita.
Comunicano poco con i loro bambini in pancia e ritardano tutti i preparativi per la nascita del bebè. Controllano ogni aspetto della loro gravidanza con lo sforzo di distanziarsi dai normali sentimenti d’inquietudine e ambivalenza.
Nel dopo parto queste madri presentano una minore autostima e più sfiducia circa la loro abilità di prestare un adeguato accudimento al neonato. I sintomi di depressione durante una gravidanza dopo infertilità possono essere vissuti come particolarmente dolorosi dalla donna convinta che, dopo la lunga attesa del concepimento, la sua gravidanza dovrà essere solo un periodo di felicità e di benessere.
Si conferma la presenza nelle coppie precedentemente infertili non solo di sentimenti di ipervigilanza o di evitamento, ma anche una minore preparazione alla transizione verso la genitorialità.
La transizione alla genitorialità è un evento molto delicato che comporta una serie di cambiamenti e di adattamenti psicologici in tutte le coppie che si avvicinano ad avere un figlio, ancora di più lo è per coloro che hanno alle spalle un vissuto di infertilità. La futura madre si sente ancora in bilico tra delinearsi infertile o incinta, non riesce a viversi come una donna in gravidanza come tutte le altre, poiché l’esperienza che ha appena vissuto (trattamenti medici e possibili perdite) la fanno sentire diversa.
E’ difficile trovare il modo di comunicare i propri momenti di sconforto o i più piccoli problemi legati alla gravidanza perché si rende conto che chi le sta vicino l’ha già sostenuta per i problemi nel rimanere incinta e sente che dovrebbe provare solo sentimenti di gratitudine per quanto sta accadendole.
Per questo difficilmente legano con altre donne in attesa che non possono condividere con loro l’esperienza dell’infertilità, che si lamentano di qualsiasi cosa, perché pensano che non possano capire le fatiche che hanno attraversato per avere un figlio.
La fase di transizione alla genitorialità e l’adattamento al nuovo ruolo genitoriale in queste coppie può risultare più complessa e faticosa: risente di tutti gli anni passati nell’esperienza dell’infertilità e delle possibili precedenti perdite.
La coppia che si trova a vivere una gravidanza post-infertilità (magari anche con delle complicanze che costringono la donna al riposo e la fanno sentire in colpa, come se la condizione di gravidanza ad alto rischio fosse stata la “punizione” per aver voluto un figlio nonostante non avvenisse naturalmente) ha bisogno di non essere lasciata sola: la presenza di una figura esterna alla rete familiare esperta di temi perinatali rappresenta un sostegno importante.
Le madri che hanno concepito attraverso la fecondazione in vitro è più probabile che sviluppino un attaccamento forte al bambino, che rende più difficile il processo di separazione ed individuazione tra genitore e figlio. Queste coppie presentano più difficoltà ad adattarsi alla condizione di genitorialità (almeno fino al primo anno di età).
Le donne si percepiscono meno abili nel ruolo materno e ricercano più rassicurazioni sulla salute dei loro figli. Spesso sono determinate a essere genitori perfetti, valutano il figlio come un bene troppo prezioso da cui dipende la felicità del nucleo familiare (il bambino come cura per ogni ferita psicologica causata dalle difficoltà riproduttive) e si sentono responsabilizzati enormemente verso di lui.
E’ auspicabile una continuità di supporto anche nella fase della genitorialità ma ancora troppo spesso l’obiettivo rimane quello del “bambino in braccio” e si tende a non considerare nessuna ulteriore conseguenza possibile.
Lo psicologo rappresenta un ponte tra infertilità e genitorialità, fra due mondi diversi che adesso si devono integrare per accogliere il figlio: occorre cercare di fornire alla coppia gli strumenti per riuscire a rinunciare al bambino perfetto.
E’ perciò fondamentale offrire supporto psicologico alle coppie infertili anche nel momento di successo di un trattamento di riproduzione assistita. Per facilitare l’adattamento alla gravidanza e la preparazione alla genitorialità una importante area da sostenere nella coppia infertile che giunge alla gravidanza è quella della sessualità, pesantemente condizionata dagli anni di cicli di PMA.
Lo psicologo può aiutare nel ritrovare un’intimità sessuale, incoraggiando la comunicazione di questi temi tra i partner, favorendo il recupero della confidenza anche se, frequentemente, vengono manifestati timori rispetto ai rapporti sessuali in gravidanza, anche quando ottenuta naturalmente.
Un intervento di tipo psicoeducativo può essere utile per far comprendere che il rapporto sessuale non comporta rischi per una gravidanza che non presenta problematiche particolari.
Occorre iniziare a ristabilire lentamente un’intimità sessuale per garantire la coesione di una coppia e la stabilità coniugale. E’ necessario dissipare miti e paure rispetto alla sessualità in gravidanza.
Inoltre lo psicologo, durante il colloquio con la coppia, può indagare gli stili di fronteggiamento dei propri vissuti (allarme costante o evitamento): nella consulenza psicologica sono spesso riferite ansie e dubbi su esami e dove affrontare il parto e non possono sempre essere di aiuto in queste scelte gli operatori del Centro per la PMA che per anni hanno seguito i pazienti.
Spesso questi operatori hanno rappresentato figure significative con cui sono stati condivisi aspetti intimi della propria vita e che sono diventate parte di un sistema di supporto emotivo mentre i nuovi operatori ostetrici, dal punto di vista dei pazienti, non sembrano apprezzare il valore della loro gravidanza e valutare bisogni medici e psicologici.
Non è facile prendere decisioni importanti senza poterle discutere e condividere tranquillamente, senza dovere sempre specificare che quel bambino non è stato concepito naturalmente.
E’ quindi molto utile un intervento psicologico che fornisca rassicurazione e supporto e che può essere integrato da tecniche di rilassamento e di mindfulness.
Lo psicologo deve infine intervenire sulla prevenzione dell’esordio dei disturbi psichiatrici in pazienti che arrivano al percorso di infertilità con una storia pregressa di diagnosi positive perché la gravidanza può far precipitare situazioni di equilibrio emotivo precario.